Cultura
Un Jovanotti del Quinto mondo ma stop no global
Recensione de Il quinto mondo, l'ultimo disco di Jovannotti
di Walter Gatti
Sentito e risentito, dopo la torrenziale e fastidiosa indigestione di Jovanotti-pensiero e Jovanotti-presenzialismo in tivvù, il nuovo disco di Lorenzo Cherubini, Il quinto mondo, lascia una strana sensazione al palato. Strana perché Lorenzo è tanto più credibile come ruminatore di musiche e culture dai poli del pianeta, quanto è fastidiosamente noioso come portavoce di una coscienza no global. Difficile restare indifferenti di fronte a nuove canzoni come 30 modi per salvare il mondo, Salato, Date al diavolo un bimbo per cena, di fronte allo squadernamento cosciente e trascinante di una voglia inarrestabile di provarsi sui terreni del funky e del country, della bossanova e dell?hip hop, del reggae e della canzone melodica. Lorenzo rischia, si butta, è irrefrenabile nel suo essere onnivoro: nessuno in Italia ha lo stesso gusto per la contaminazione. Peccato che la parte più debole di questo suo essere aperto sia proprio quella in cui il dovere di profetizzare prende il sopravvento e si trascina nel proclama: qui l?imbarazzo serpeggia, perché il generico e l?ingenuo saltano fuori. Certo non tutti sono così spugne nei confronti del mondo, della vita: Jovanotti è un registratore che assorbe idee, suoni, personaggi, ma certo una salutare ripassata alle idee e un minor qualunquismo globale sarebbero salutari. Anche se ciò non produrrebbe miglior musica, che, nel caso del Quinto mondo, è comunque di livello alto e di ascoltabilità assicurata.
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