Politica

Un incontro con il governo

Lo chiedono gli assessori della giunta di De Magistris

di Redazione

“Apprendiamo dagli organi di stampa che la sperimentazione della nuova social card per le famiglie in disagio economico, che dovrebbe partire a breve, prevede ricariche differenziate per ogni città in base alla considerazione, tecnicamente errata, che la vita sia più cara al Nord rispetto al Sud del nostro Paese, con un taglio del 27% per una città come Napoli. Numerose rilevazioni dimostrano invece che, a parità di prodotti acquistati, la spesa sia più cara nel Mezzogiorno a causa della diversa struttura distributiva e dei maggiori costi logistici”. Così gli assessori allo Sviluppo e alle Politiche sociali del Comune di Napoli, Marco Esposito e Sergio D’Angelo, sulla nuova social card per le famiglie in disagio economico che dovrebbe partire a breve in 12 Comuni con più di 250mila abitanti (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia, Verona). Sarà una carta acquisti con una ricarica mensile che varia da 40 a 137 euro in base alla città di residenza del beneficiario e ai componenti del nucleo familiare, “ma la ricarica – spiega la nota congiunta dei due assessori – sarà molto diversa al Nord e al Sud. Alla base della discriminazione c’è l’idea del Governo che la vita da Roma in su costa più che al Mezzogiorno e, quindi, anche tra poveri ci sono differenze”. “L’errore che sovente si commette sul costo della vita elaborato su base territoriale – spiegano – consiste nel confrontare i prezzi non di prodotti identici, bensì i più venduti in ogni esercizio commerciale ed è ovvio che nel Mezzogiorno a causa del minore reddito disponibile si vendano maggiormente articoli a basso prezzo. È lo stesso ministero dello Sviluppo economico, in una nota nell’Osservatorio prezzi, ad avvertire sull’uso improprio di tali raffronti territoriali”. 

“Confrontare i listini di prodotti di diversa qualità – sottolineano – è un assurdo tecnico che oggi porta alla svista sulla social card e che un domani potrebbe portare a pensioni e prestazioni sociali differenziate. Chiediamo pertanto un incontro sollecito per confrontare i dati in nostro possesso e per raggiungere soluzioni più vicine al meritorio obiettivo di sostenere le famiglie in difficoltà”. “Fare la spesa in un supermercato a Firenze, a Milano o a Catania – proseguono Esposito e D’Angelo – non è certo la stessa cosa. Secondo i dati pubblicati dall’Osservatorio Prezzi Opus di Nielsen Panel a parità di prodotti acquistati fare la spesa in una regione può costare fino al 10% in più rispetto ad un’altra. Lo studio prende in considerazione tutti i prodotti di largo consumo confezionati (120.000 articoli tra alimentari, bevande, igiene personale, pulizia casa, freschi confezionati) venduti nei supermercati e ipermercati italiani”. Secondo Esposito e D’Angelo “molteplici sono i fattori che determinano queste differenze, riconducibili principalmente alla struttura distributiva italiana e alla sua capacità di contenere i costi che incidono sul prezzo finale dei prodotti quali, ad esempio, i costi logistici. Questo, oltre alla competitività delle insegne è il motivo per cui esistono significative differenze nel confronto regionale con, ad esempio, un indice di prezzo in Toscana di circa 5 punti più basso rispetto alla media italiana e di oltre 10 rispetto alla regione più ‘carà”. Sul livello di spesa sostenuto dalle famiglie, aggiungono, “incidono anche altri fattori. Il livello di reddito, la percentuale di occupazione femminile, il tempo disponibile per la preparazione dei pasti, le abitudini alimentari e l’incidenza dei consumi fuori casa sono alcuni dei fattori che determinano profonde differenze nella composizione del carrello della spesa nelle diverse regioni italiane. Sono queste le ragioni per cui, sebbene a parità di prodotti le regioni del Sud risultino più “care”, il carrello della spesa medio in queste regioni ha un valore significativamente più basso”.


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