Politica

Un Hollande in Europa

Cambia lo scenario, un socialista all'Eliseo: e ora Merkel?

di Franco Bomprezzi

La Francia si affida nuovamente a un socialista, finisce la breve era Sarkozy, e cambiano gli equilibri europei. I giornali del lunedì aprono tutti con il voto non solo in Francia, ma anche in Grecia.

“Vince Hollande, si apre la sfida in Europa” riassume così il titolo a tutta pagina sulla prima del CORRIERE DELLA SERA. Servizi fino a pagina 13. Editoriale di Sergio Romano: “Segnali contrastanti”. Ecco un passaggio: “Insieme alla crisi olandese e al malumore spagnolo le elezioni francesi e greche dimostrano che nell’Unione europea esiste ormai un partito d’opposizione formato da un largo ventaglio di movimenti troppo diversi per marciare insieme, ma abbastanza numerosi per rendere la vita difficile a chi nei prossimi anni avrà il compito di governare il suo Paese”. Antonio Ferrari invece chiosa il voto greco: “L’inutile voto nell’Atene che premia gli estremisti”. Massimo Nava a pagina 5 a proposito di Sarkozy: “Battuto dal campione della normalità”. Paolo Lepri a pagina 8: “La Merkel telefona all’«ex nemico» e lo invita a Berlino”. Scrive Lepri: “Certo, l’elezione del nuovo presidente francese è comunque destinata a mutare profondamente il panorama europeo. E sarà naturalmente importante vedere quali saranno i segnali che verranno dalle borse. Ne è convinto anche il presidente del Consiglio italiano Mario Monti che ha avuto un lungo scambio di idee, ieri sera, con la cancelliera. All’ordine del giorno, la necessità di coniugare la difesa del rigore con le iniziative per promuovere la crescita, affrontare la disoccupazione, promuovere la competitività, accrescere il potenziale di sviluppo dell’eurozona. La ricetta di Hollande si basa su quattro elementi: i «project bonds» per finanziare le infrastrutture, un ruolo più incisivo della Banca europea per gli investimenti, la tassa sulle transazioni finanziare e un uso migliore dei fondi strutturali europei. Niente o quasi di tutto questo è visto negativamente da Angela Merkel”. Andrea Nicastro a pagina 9 intervista Mario Soares, 87 anni, padre del socialismo portoghese: «Credo nella vittoria di Hollande. Lo ricordo quando era un collaboratore del mio amico François Mitterrand. Ha dimostrato grande visione. Con lui all’Eliseo il sentiero politico europeo si addolcirà. Hollande è l’apripista di un pensiero che tutta la sinistra europea ha ormai maturato. L’austerità da sola non basta, porta solo più disoccupazione e più crisi. Non possiamo permetterci che l’Europa vada a fondo, per cui dobbiamo trovare una rotta economica differente». E Monti? A pagina 10 scrivono Marco Galluzzo e Federico Fubini: “Il premier non conosce direttamente il nuovo inquilino dell’Eliseo: prima di ieri non c’erano mai stati contatti diretti, nemmeno ai tempi degli incarichi comunitari di Monti. In queste ultime settimane ha tenuto i rapporti, fra i rispettivi staff, il ministro Moavero. In ogni caso è convinzione diffusa che il nuovo presidente francese possa costituire un valido alleato nell’affermazione di un piano di sviluppo europeo, senza indebolire l’impianto del rigore di bilancio adottato a Bruxelles negli ultimi mesi. Cosa sulla quale Hollande ha dato ampie garanzie”. Monica Guerzoni intervista a pagina 11 Pierluigi Bersani: «Ha unito sinistra e centro. Un modello anche per l’Italia».

“La Francia va a sinistra”, apre REPUBBLICA in prima pagina, e sulla vittoria di Hollande approfondisce per 9 pagine cavalcando il tema del cambiamento – per la Francia e per gli equilibri europei. Tante e varie le “voci” chiamate a interpretare questa svolta importante. L’analisi più ampia è di Marc Lazar (“Il tramonto di un’egemonia” il titolo): tesi di fondo: non è la sinistra che ha vinto, ma è Sarko ad aver perso, o meglio ad aver disgregato il blocco sociale che l’aveva portato all’Eliseo. Ma, più in generale, e uscendo dai confini francesi, «il fascino del liberismo di cui hanno goduto le destre europee in questi anni sta perdendo il suo fascino. Perché oggi gli europei, preoccupati del loro presente e del loro futuro, chiedono maggiori tutele». Secondo l’etnologo Marc Augé quella di Hollande è  la riscossa della politica sana: oggi abbiamo bisogno di sangue freddo, di rigore e di speranza». Faccia a faccia poi tra lo scrittore e pacifista Marek Halter e lo storico Jacques Le Goff. Halter parte molto attendista: «Hollande è un uomo onesto ed è circondato da una squadra di persone competenti, ma non ha carisma». Lo aspettano cinque anni difficili, perché «dovrà salvare la Francia dallo tsunami della crisi». Per Le Goff quella di Hollande è «la vittoria della speranza. Sarkozy ha avvilito i nostri valori storici. Ora l’Europa cambierà strada».

IL GIORNALE titola a tutta pagina “Elezioni shock”. Tre editoriali riassumono le situazioni in Italia, Francia e Grecia. Il primo è dell’ex direttore Vittorio Feltri che firma “C’è l’astensione ma non la fuga” e parla di Belpaese. A fianco Giuseppe De Bellis “Vince Hollande e nessuno ride più” in cui scrive «non ride Nicolas Sarkozy che ha perso. Non ridiamo noi che ne avremmo voglia, ma che ci troviamo come vicino un veterosocialista, statalista, burocrate. Non ride quella parte d’Europa che vede nel nuovo padrone dell’Eliseo uno che dovrebbe contrastare lo strapotere tedesco e che presto rimarrà delusa: Hollande scenderà a patti con la Merkel, anzi forse l’ha già fatto». A fianco Mario Cervi firma “Il trionfo di chi maledice l’euro”, la Grecia «assoggettata per volontà delle istituzioni europee – in realtà per volontà della Germania – a una cura d’austerità e di rigore al cui confronto quella di Mario Monti è acqua fresca, si ribella. Maledice l’euro, maledice i feroci tagli apportati ai salari e agli stipendi pubblici, maledice le minaccia sempre immanente del default, maledice i tecnici che, come a Roma, si sono insediati ad Atene». 

LA STAMPA apre con “Francia e Grecia cambiano l’Europa”. Due pezzi con fotonotizia. Il primo titola “Hollande: l’austerità non basta. Vittoria per rilanciare la crescita”. L’altro “Atene ora rischia la paralisi. Gli estremisti in netta ascesa”. Cesare Martinetti firma “Il ciclone di Parigi”. « François Hollande vince le elezioni francesi e subito manda ad Angela Merkel il messaggio che molta parte dell’Europa (Italia compresa) si aspettava: l’austerità «non è una fatalità» e la costruzione europea deve essere riorientata verso la crescita. È stato il grande tema della sua campagna elettorale, la questione si apre a Bruxelles e Berlino, Hollande ha la sfrontatezza tutta francese di dire che la sua vittoria accende una speranza e una nuova prospettiva per molti Paesi. Ma, di nuovo rispetto al vecchio socialismo francese, sa anche dire che i conti vanno raddrizzati per ridurre il deficit e in prospettiva tagliare il debito. Insomma, la sfida è alta, vedremo presto». 

E inoltre sui giornali di oggi:

PAGINA NON PROFIT
IL SOLE 24 ORE – “Più manager nel Terzo settore”: «Dalle aziende al non profit. Si moltiplicano in Italia i casi di dirigenti e top manager che decidono di cercare sbocchi professionali nel Terzo settore. In parte a causa della crisi e per le difficoltà di ricollocamento sul mercato del lavoro tradizionale, ma in molti casi anche per vocazione individuale, così da conciliare lavoro e coscienza, mettendo le proprie competenze al servizio di una buona causa. Ma il crescente appeal del non profit è dovuto anche e soprattutto all’evoluzione del comparto nel corso degli ultimi anni, anche in termini di politiche retributive. Stando all’ultima indagine condotta dall’Osservatorio sulle risorse umane del non profit di Hay Group, nel 2006 i dirigenti delle aziende for profit guadagnavano il 100-120% in più rispetto ai manager delle società non profit. A fine 2011, il gap si è ridotto al 60-70% circa; per i quadri, la differenza oscilla tra il 30 e il 50% a seconda del settore di riferimento, mentre nel caso degli impiegati il divario tra le retribuzioni medie è del 30% circa. Certo, il non profit in Italia ha ancora molta strada da compiere, se si considera che in Inghilterra gli stipendi di impiegati, quadri e dirigenti sono praticamente equivalenti rispetto a quelli offerti dai business commerciali. Negli Stati Uniti, addirittura, i professionisti in posizioni di responsabilità nel non profit guadagnano in media il 2% in più rispetto alle controparti commerciali».  Spalla sul Festival del Fundraising, “Per i fundraiser prove tecniche di networking”: «Sono l’unica categoria che, all’interno del mondo non profit, non ha risentito più di tanto della crisi ma, al contrario, ha visto mediamente crescere le proprie quotazioni. I fundraiser, professionisti della raccolta fondi specializzati nell’indirizzare donazioni verso le organizzazioni di riferimento, affrontano questo difficile 2012 da una parte con la consapevolezza dell’inedita complessità del quadro generale, dall’altro con la certezza di avere assunto un ruolo centrale per lo sviluppo degli enti non profit. «Il nostro problema principale non è il lavoro, che assolutamente non manca, ma la capacità di fare rete e di contare nelle scelte che riguardano il non profit», afferma Luciano Zanin, presidente di Assif, la sigla di rappresentanza più significativa, che ha raddoppiato gli iscritti nell’ultimo anno, sfiorando ora i 300 associati. Una minoranza ancora esigua rispetto all’esercito (stimato tra le 8 e le 10mila unità) di quanti operano per sollecitare e raccogliere donazioni, ma al tempo stesso avanguardia professionalizzata di un movimento che punta a regole e criteri più generali e trasparenti. Per la categoria i prossimi giorni segnano l’appuntamento principale dell’anno: da mercoledì 9 a venerdì 11, infatti, è in programma a Castrocaro (FC) la quinta edizione del Festival del fundraising, kermesse promossa e coordinata da Valerio Melandri, docente di principi e tecniche di fundraising e direttore del master alla facoltà di Economia di Forlì, nonché direttore scientifico del centro studi Philanthropy». Sotto approfondimento sull’impresa sociale di Francesco Perrotta “Impresa sociale con poco appeal”: «Ancora oggi, a più di un lustro dall’emanazione del Dlgs. n.155/06 che ha istituito l’impresa sociale, è aperto il dibattito sull’opportunità di optare per la richiesta della qualifica per la propria società oppure per la propria associazione. Ecco perché il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, attraverso la sua specifica commissione studi, ha elaborato il secondo Quaderno sull’impresa sociale. Qualche numero sulle imprese sociali: a gennaio 2012, secondo i dati Unioncamere, risultavano iscritti al registro delle imprese 954 soggetti, di cui però solo 405 nell’apposita sezione delle imprese sociali; dato, questo, che con evidenza sollecita la non prorogabile ed opportuna attività da parte delle stesse Camere di commercio di veicolare i soggetti all’apposita sezione. Con la stessa evidenza si può desumere che va prodotto uno sforzo ulteriore in termini formativi ed informativi sulla nuova qualifica e sulla specifica norma di riferimento, sia nei confronti del mondo professionale che tra gli operatori del Terzo settore e nella stessa pubblica amministrazione. Dalla lettura del Quaderno sull’impresa sociale emergono i vari aspetti ancora ambigui della norma, che sono probabilmente la motivazione principale del mancato decollo dello strumento. Si pensi alla mancanza di una specifica leva fiscale: si rileva l’assenza di una norma agevolativa propria, diversamente da come invece fu previsto per le Onlus nel 1997, con l’emanazione del Dlgs n.460. Altro limite si ritrova in tema di governance per i soggetti for profit e per le pubbliche amministrazioni, che trovano nella norma dei limiti alla possibilità di nomina di propri rappresentanti all’interno dell’impresa sociale, alla quale potrebbero comunque partecipare pur se in una quota che non consente loro il controllo; ciò impedisce, ad esempio, agli enti locali di utilizzare lo strumento nell’ambito del processo di privatizzazione di taluni servizi pubblici». 

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