Appelli
Un gruppo di ebrei italiani: «La guerra a Gaza va fermata»
Dopo oltre 4 mesi di guerra nella Striscia di Gaza finalmente un gruppo di intellettuali ebrei italiani alza la voce per dire che: «I massacri di civili perpetrati a Gaza dall’esercito israeliano sono sicuramente crimini di guerra». La lettera e tutti i firmatari nome per nome
di Redazione
Giunti al 125 giorno di guerra nella Striscia di Gaza, con l’uccisione di 28mila civili, per il 70% minori, con migliaia e migliaia di dispersi, con 1.5 milioni di palestinesi accalcati a Rafah e chiusi tra il muro egiziano e l’esercito israeliano, ridotti alla fame e aggrediti da ogni tipo di malattia, finalmente un gruppo di intellettuali ebrei italiani alza la voce per dire che: «L’unico modo di combattere l’odio anti-ebraico crescente è provare a interrogarci nel profondo per aprire un dialogo di pace».
Smarcandosi da un silenzio e da un consenso imbarazzante ma non imbarazzato verso il Governo Netanyahu, i firmatari scrivono che: «Abbiamo provato forte difficoltà di fronte all’appena trascorso Giorno della Memoria: non possiamo condividere la modalità con cui lo si vive se lo si riduce a una celebrazione rituale e vuota. Riconoscendo l’unicità della Shoah, consideriamo importante restituire al 27 gennaio il senso e il significato con cui era stato istituito nel 2000, vale a dire un giorno dedicato all’opportunità e all’importanza di riflettere su ciò che è stato e che quindi non dovrebbe più ripetersi, non solo nei confronti del popolo ebraico». Ecco l’intera lettera e i firmatari.
«Siamo un gruppo di ebree ed ebrei italiani che, dopo la ricorrenza del Giorno della Memoria e nel vivere il tempo della guerra in Medio Oriente, si sono riuniti e hanno condiviso diversi sentimenti: angoscia, disagio, disperazione, senso d’isolamento. Il 7 ottobre, non solo gli israeliani ma anche noi che viviamo qui siamo stati scioccati dall’attacco terroristico di Hamas e abbiamo provato dolore, rabbia e sconcerto. E la risposta del governo israeliano ci ha sconvolti: Netanyahu, pur di restare al potere, ha iniziato un’azione militare che ha già ucciso oltre 28.000 palestinesi e molti soldati israeliani, mentre a tutt’oggi non ha un piano per uscire dalla guerra e la sorte della maggior parte degli ostaggi è ancora incerta. Purtroppo sembra che una parte della popolazione israeliana e molti ebrei della diaspora non riescano a cogliere la drammaticità del presente e le sue conseguenze per il futuro. I massacri di civili perpetrati a Gaza dall’esercito israeliano sono sicuramente crimini di guerra: sono inaccettabili e ci fanno inorridire. Si può ragionare per ore sul significato della parola «genocidio», ma non sembra che questo dibattito serva a interrompere il massacro in corso e la sofferenza di tutte le vittime, compresi gli ostaggi e le loro famiglie. Molti di noi hanno avuto modo di ascoltare voci critiche e allarmate provenienti da Israele: ci dicono che il Paese è attraversato da una sorta di guerra tra tribù – ebrei ultraortodossi, laici, coloni – in cui ognuno tira l’acqua al proprio mulino senza nessuna idea di progetto condiviso. Quello che succede in Israele ci riguarda personalmente: per la presenza di parenti o amici, per il significato storico dello Stato di Israele nato dopo la Shoah, per tante altre ragioni. Per questo non vogliamo restare in silenzio. Abbiamo provato forte difficoltà di fronte all’appena trascorso Giorno della Memoria: non possiamo condividere la modalità con cui lo si vive se lo si riduce a una celebrazione rituale e vuota. Riconoscendo l’unicità della Shoah, consideriamo importante restituire al 27 gennaio il senso e il significato con cui era stato istituito nel 2000, vale a dire un giorno dedicato all’opportunità e all’importanza di riflettere su ciò che è stato e che quindi non dovrebbe più ripetersi, non solo nei confronti del popolo ebraico. Il 27 gennaio 2024 è stato una scadenza particolarmente difficile e dolorosa da affrontare: a cosa serve oggi la memoria se non aiuta a fermare la produzione di morte a Gaza e in Cisgiordania? Se e quando alimenta una narrazione vittimistica che serve a legittimare e normalizzare crimini? Siamo ben consapevoli che esiste un antisemitismo non elaborato nel nostro Paese e nel mondo, ne sentiamo l’atmosfera e l’odore in questi mesi soprattutto dal 7 ottobre, quando abbiamo visto incrinarsi i rapporti, anche personali, con parte della sinistra. Ma ci sembra urgente spezzare un circolo vizioso: aver subito un genocidio non fornisce nessun vaccino capace di renderci esenti da sentimenti d’indifferenza verso il dolore degli altri, di disumanizzazione e violenza sui più deboli. Per combattere l’odio antiebraico crescente in questo preciso momento, pensiamo che l’unica possibilità sia provare a interrogarci nel profondo per aprire un dialogo di pace costruendo ponti anche tra posizioni che sembrano distanti. Non siamo d’accordo con le indicazioni che l’Unione delle Comunità ebraiche italiane ha diffuso per la giornata del 27 gennaio, in cui viene sottolineato come ogni critica alle politiche di Israele ricada sotto la definizione di antisemitismo. Sappiamo bene che cosa sia l’antisemitismo e non ne tolleriamo l’uso strumentale. Vogliamo preservare il nostro essere umani e l’universalismo che convive con il nostro essere ebree ed ebrei. In questo momento, quando tutto è difficile, stiamo vicino a chi soffre provando a pensare e sentire insieme.
Firmatari: Fabrizio Albert, Rachele Alberti, Marina Ascoli, Massimo Attias, David Calef, Valeria Camerino, Giorgio Canarutto, Lucio Damascelli, Beppe Damascelli, Enrico De Vito, Annapaola Formiggini, Saby Fresko, Paola Fresko, Bice Fubini, Nicoletta Gandus, Adriana Giussani, Bella Gubbay, Joan Haim, Hassan Massimo, Cecilia Herskovitz, Francesca Incardona, Stefano Levi Della Torre, Annie Lerner, Gad Lerner, Stefano Liebman, Samuele Menasce, Raffaella Molena Tassetto, Bruno Montesano, Guido Ortona, Bice Parodi, Laura Pesaro, Simone Rossi del Monte, Renata Sarfati, Stefano Sarfati, Eva Schwarzwald, Gavriel Segre, Simona Sermoneta, Shmuel Sermoneta Gertel, Susanna Sinigaglia, Sergio Sinigaglia, Stefania Sinigaglia, Deborah Taub, Jardena Tedeschi, Mario Tedeschi, Massimo Gentili Tedeschi, Sara Tedeschi Falco, Fabrizia Termini, Alessandro Treves, Claudio Treves, Roberto Veneziani, Serena Veneziani, Marco Weiss.
Hanno aderito: Edith Bruck, Lucilla Ravà, Micael Zeller, Gavriel Segre, Manlio Massa, Raffaella Molena Tassetto, David Calef, Samuele Menasce, Federico Fubini, Gabriele Aronov, Livia Tagliacozzo, Simonetta Heger, Dima Platz-Fontanive, Grazia-Borrini-Feyerabend, Scilla Sonnino, Carlo Ginsburg, Simona Forti, Giacomo Ortona, Andrea Fubini, Nathan Levi, Emilio Sacerdoti, Giorgio Mieli, Emily Rosner, Sergio Ottolenghi, Tamar Pitch, Paola Canarutto, Piergiorgio Minazzi, Anna Canarutto, Bianca Maria Gabrielli, Nicoletta Alberio, Liliana Madeo, Saverio Benedetti, Paola Cavallari, Patrizia Bortolini, Maria Teresa Callegari, Luca Colaiacomo, Giovanna Tornello, Daniela Radaelli, Pietro Jona, Paolo Mascilli, Andrea Corbella, Riccardo Rosetti, Alessandra Elda Falcone, Andrea Lombardi, Laura Ottolenghi, Susanna Fresko, Renato Scuffietti, Magda Mercatali, Francesca Ceccherini Silberstein, Paola Pasqua Di Bisceglie, Pierpaolo Mastroiacovo, Elena Maria Milazzo Covini, Marzia Cattaneo, Tiziano Carradori, Francesca Romana Fiore, Luigi Mancuso, Paolo Mascilli, Claudia Beltramo Ceppi Zevi, Antonella Caterina Attardo, Franco Bernardi, Antonella Caterina Attardo, Lucilla Ravà, Daniele Santini, Paola Colombino, Josette Molco, Fiorenza Cavicchioli, Claudia Zaccai, Alberto Fiz, Gianfranco De Nisi, Gianni Gregoris, Piero Morpurgo, Rita Beatrice Cauli, Ludovica Muntoni, Piero Nissim, Cecilia Del Fa, Irene Agovino, Chiara Milano, Francesca Castelli, Giuseppe Ciaurro, Gaddo Morpurgo, Piero Pelù, Elide Chiampi, Renata Spiezio Isabelle Dehais, Giuseppe Gibin, Enrico Franco, Daniela Scotto di Fasano, Francesca Rambaldi. Per ulteriori adesioni: maiindifferenti6@gmail.com».
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