Cultura
Un global preoccupato
Paolo Del Debbio affronta il tema più discusso di questi anni da un punto di vista inedito. Non demonizza la globalizzazione, ma non ne censura i problemi.
Repertorio di notizie, interessante e organizzato in modo da suscitare curiosità e voglia di approfondimento, Global ha un titolo che inganna: l?esposizione è generalmente problematica e la presentazione non è monotona (del tipo «viviamo nel migliore dei mondi possibili») come ci si potrebbe aspettare. Le fonti sono spesso quelle istituzionali (le agenzie della famiglia delle Nazione Unite e le istituzioni di Bretton Woods) alle quali se ne aggiungono alcune cui il grande pubblico dei lettori della globalizzazione può essere meno abituato (come nel caso del repertorio della Santa Sede).
Del Debbio, ex assessore milanese nella giunta Albertini e docente di etica sociale allo Iulm di Milano, presenta un?idea di globalizzazione attingendo alla sua professione. Questi i suoi presupposti. La globalizzazione riserverebbe benefici per tutti purché siano soddisfatte determinante condizioni; la politica serve a realizzare queste condizioni, cioè a consentire il miglior dispiegamento dell?economia. Serve un ethos adeguato ai tempi della globalizzazione: non possiamo seguire scorciatoie per dare risposta a quei bisogni che il mercato non vede; questo sarà l?ethos della compassione e della solidarietà.
Del Debbio non riesce ad allontanare la percezione che l?assenza della politica corrisponda a una cultura e a una strategia politica ben precisa. Ad esempio, si può sostenere che la diminuzione della capacità del potere pubblico di orientare i processi sociali ed economici non è un prodotto accessorio del Washington Consensus (richiamato dall?autore): è una parte centrale di questa strategia d?intervento, che corrisponde a una precisa visione politica forte, presso chi oggi decide nella città statunitense.
Il rapporto tra etica ed economia dovrebbe approdare a un?armonizzazione. È difficile però individuare fra gli elementi proposti la possibilità di una relazione equilibrata. Infatti, se l?etica deve essere realistica ed euristica, prima che critica, l?economia «ha una razionalità sua propria» e ha le sue leggi, sulla natura delle quali si discute molto sebbene non si metta in dubbio che ci siano.
Altra proposta forte di Global è il carattere epocale dell?11 settembre: evento che spazza il pensiero unico dei global e dei no global. Gli argomenti adottati lasciano un po? di sorpresa. Le convinzioni che assumerebbero particolare vigore a causa dell?attentato, paiono in realtà quelle di un patrimonio da tempo condiviso: è facile avvedersi che la considerazione del fatto che siamo tutti legati da un destino condiviso e che non ci sono rivoluzioni all?orizzonte non è un fatto di oggi. Probabilmente è l?idea dell?unicità del pensiero, che indugia troppo sull?influenza dei media, che produce un tale effetto di oscuramento.
Il terreno su cui varrebbe la pena confrontarsi non è tanto quello definito dall?investigazione sulla natura positiva o negativa della globalizzazione. Potrebbe essere produttivo adottare la categoria dell?adeguatezza e chiedersi quindi se gli attuali rapporti di allocazione di beni e risorse, che hanno una caratteristica globale, sono in grado di rispondere agli squilibri nei rapporti sociali, economici e sociali tipici del nostro tempo; diversamente detto: questa globalizzazione risponde ai problemi dello sviluppo dell?oggi? Questo richiederebbe però di essere pronti a mettere in discussione il carattere ferreo delle leggi dell?economia.
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