Famiglia

Un filo unisce nudo e chadorAlla finestra di Randa Ghazy

di Redazione

La donna non è mai una Donna. In televisione, perlomeno. O soprattutto. La donna non è mai Donna, nel senso completo e pieno del termine, in tutte le sue declinazioni e sfumature, ma è sempre una parte, un pezzo, una porzione di donna. Una coscia, o un centimetro di seno di troppo, o un fondoschiena, o una specie di canotto che un tempo erano state labbra, o degli occhi ammiccanti o delle mani allusive o chissà che altro.
Un concetto o un’idea, o meglio un oggetto, e mai un soggetto. La televisione mistifica la realtà, e c’è poco da fare. Le creature giunoniche e perfette, al limite dell’isterismo, truccate e alla moda e sorridenti e scollacciate al posto giusto, soprammobili perfetti per ambienti dominati da altri (sempre uomini), non rappresentano le donne che abitano la vita reale: le parlamentari, le segretarie, le colf, le studentesse, le dottoresse, le mamme, le figlie, le nonne che ogni giorno esprimono la loro identità senza fare uso del proprio corpo per comunicare e per esistere.
È molto difficile parlare di donne e di televisione senza sembrare moralisti, anacronistici, e un po’ bacchettoni. È che, ad un certo punto, un discorso proprio si impone, se non come araba, assolutamente come donna.
Quando ero piccola io, uscivano una serie di film al cinema, e poi in televisione, su struggenti storie d’amore. Io ero avidissima di storie romantiche, se non che puntualmente arrivava qualche adulto, in genere mia madre, a cambiare canale. Così, ad esempio, non potevo mai vedere la scena del vaso tra Demi Moore e Patrick Swayze in Ghost, oppure non potevo seguire telefilm decisamente in voga tra gli adolescenti, come Beverly Hills 90210.
Oggi. Ecco, oggi se volessi impedire a mia/o figlia/o di vedere cose che non sono adatte alla sua età (ma a ben pensarci a nessun’età, poiché decisamente volgari e scadenti), dovrei mettere la televisione in cassaforte e buttare le chiavi nello scarico del wc. Così è. A qualsiasi ora imperano inquadrature ammiccanti di corpi femminili praticamente svestiti.
Mi terrorizzano due cose. La prima è il rapporto col corpo delle donne, la cultura sottesa che la/lo influenzerebbe e ne condizionerebbe il pensiero. La seconda è la perdita di senso del pudore, un tesoro che credo vada conservato. Nonostante tutte le critiche e i fraintendimenti, poiché molti italiani il senso del pudore non solo non lo hanno, ma non lo capiscono come concetto, non lo accettano, non lo rispettano.
Anche le televisioni arabe scadono nell’utilizzo del corpo femminile. Esiste ormai una schiera di cantanti, perlopiù egiziane e libanesi, che basano il loro successo sulla loro avvenenza e sui sospiri allusivi con cui interpretano le loro “canzoni”. C’è una differenza sostanziale, però. Nel mondo occidentale l’abuso incondizionato del corpo femminile, la visione della donna come oggetto e non soggetto, l’enfasi sull’apparenza e sulla bellezza come caratteristiche fondanti del successo, si collocano storicamente alla fine di un’intensa battaglia per le pari opportunità.


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