Cultura
Un festival per imparare a perdersi
In questi giorni a Cagliari, si sta tenendo un'iniziativa davvero originale. «Proviamo ad uscire dalle città intese come massa urbana unica informe e tentacolare»m spiega il direttore artistico Alessandro Carboni
Qualche anno fa mi colpì la storia di una signora di 76 anni, malese: Jaeyaena Beurraheng. Jaeyaena aveva 8 figli e faceva parte di una minoranza musulmana dell'estremo Sud della Thailandia e non parlava, nè scriveva una parola di thailandese. Quasi trenta anni fa era andata a trovare i suoi amici in Malaysia. Salutati gli amici, salì sull'autobus per tornare a casa, senza saper leggere la destinazione e si ritrovò a Bangkok, a 1200 km dal suo paese. Si è ulteriormente allontanata da casa quando, salendo su un autobus che pensava fosse diretto a sud, si è ritrovata invece a Chang Mai, altri 700 chilometri a nord. Jaeyaena ha riabbracciato i suoi figli solo 25 anni dopo, dopo aver fatto la mendicante, essere arrestata e poi collocata in un centro di accoglienza per senzatetto. Dove è rimasta fino al 2007, quando cioè riesce a tornare a casa e riabbracciare i figli. È solo una storia, forse particolare, triste, ma è pur sempre una storia. Il fatto: perdersi in una grande città può sconvolgere una vita intera.
In questi giorni a Cagliari, si sta tenendo l'AntiMap Festival. Titolo "Nuovi immaginari per peerdersi negli spazi urbani", organizzato dall'associazione Formati Sensibili. Un festival che intende aprire una discussione sulla necessità del “perdersi” nella città come metafora e modalità di esercizio creativo. A rispondere a un po' di domande e curiosità Alessandro Carboni-direttore artistico del festival.
Da dove nasce l'esigenza di proporre un'iniziativa complessa come la vostra?
Immaginare un festival è un processo cartografico. È un’ azione simile alla scrittura di una mappa su cui si possono leggere i territori, i confini e le strade che uniscono gli artisti e i loro processi creativi. Essi sono come gli elementi contenuti nelle antiche carte e le pergamene, i mosaici e gli affreschi, i portolani allegati a i racconti fantastici e d’avventura che rappresentavano paesaggi immaginari o reali, anche se mai visti, e le nuove vie del mondo. Le opere sono cartografie dinamiche, difficili da rappresentare con gli strumenti tradizionali del geografo e del cartografo. Sono luoghi necessari, come AntiMap Festival, segnati da disorientamenti, in cui la perdita dei riferimenti geografici, dell’appartenenza a una terra, a una città, a una lingua ci spinge a tracciare nuove mappe per riorientarci nella società contemporanea.
In un momento in cui tutti mappano tutto, il "perdersi" del vostro festival assume un connotato positivo: cosa vuol dire "perdersi" in città?
La necessità del “perdersi” nella città nasce come metafora e modalità di esercizio creativo, sul piano del processo artistico così come sul piano sociale. Con AntiMap Festival auspichiamo che questa discussione sia motore e agente di cambiamento nel tessuto sociale e nella creazione di una coscienza del singolo e della collettività, attivando capacità reali di azione e di pensiero. A partire da queste riflessioni AntiMap Festival cerca di analizzare i nuovi avamposti di sperimentazione di artisti, collettivi e scienziati che riflettono sui cambiamenti globali della società e delle sue trasformazioni antropologiche e socio culturali in relazione alla città. La sua intenzione è di illustrare i processi e le strategie degli artisti per raccontare la città globale nella sua complessità, nel mosaico di spazi differenti e frammentati ove è ancora possibile perdersi tra migliaia di sentieri e creare nuovi immaginari dello spazio urbano.
Cosa sta emergendo da questo festival?
Nella prima parte del festival ci siamo concentrati sulle attività laboratoriali. Bambini, adulti di diverse età, si sono confrontati su un quesito molto semplice: cosa vuol dire ripensare lo spazio urbano della propria città. Abbiamo discusso sulla necessità di ripensare allo spazio urbano come un cluster di luoghi che fanno parte della nostra esperienza percettiva e soggettiva della città. È emersa l'idea della riappropriazione dello spazio e della sua trasformazione in un nuova concezione di luogo, più vicina alla nostra azione nel quotidiano.
A cosa serve e cos'è l'AntimApp?
AntiMap Festival sarà anche uno strumento innovativo di partecipazione verso tematiche legate al vivere la città di Cagliari. Per l’edizione è stata progettata AntimApp, un’applicazione gratuita per smartphone disponibile per iphone e Android che permetterà ai cittadini di poter ripensare in modo critico la città. Il menù dell’App è composto da diverse aree. In un’area dedicata della App i partecipanti saranno chiamati a rispondere a dieci domande su altrettanti nodi tematici intorno ai quali si articolano le principali funzioni vitali di Cagliari, ovvero: Acqua, Mobilità, Energia, Ambiente, Corpo, Rifiuti, Comunicazione, Autorità, Culto, Conoscenza. I questiti saranno tesi a indagare l’esperienza soggettiva dello spazio urbano di Cagliari. Grazie a questa survey sarà possibile ricostruire una mappa emozionale della Città e raccogliere dati da condividere con gli altri visitatori del festival. In un’ altra verranno visualizzati graficamente l’andamento delle risposte di tutti gli utenti. In questo modo AntimAPP si proporrà anche come strumento di dialogo fra il cittadino e il tessuto urbano, secondo una lettura e un approccio diversi su come ci si interroga e su come si può ripensare e vivere lo spazio urbano. Per poter scaricare l’applicazione sarà necessario andare direttamente sul Apple Store o Google Play oppure utilizzare il codice QR. I dati raccolti da tutti i partecipanti sono visibili e in tempo reale.
Secondo "Urbanizing the Developing World", un nuovo rapporto del Worldwatch Institute, tra il 2011 e il 2050 la popolazione urbana mondiale è destinata a crescere di 2,6 miliardi, portando il numero totale di abitanti delle città a 6,3 miliardi. Quali sono le strade o gli esempi da seguire a livello sociale, economico e tecnologico?
La città ormai è diventata una massa urbana unica informe e tentacolare in cui le sue maglie raggiungono ogni parte del globo. Gli individui, i corpi, gli abitanti si inseriscono in queste cercando di vivere e ritrovare se stessi nella complessità urbana. Ripensare un nuovo modello di sociale, economico e tecnologico significa ripartire dal corpo e dalla sua interazione con gli spazi urbani che viviamo e occupiamo ogni giorno. Dalle strade ai parchi, dalle case agli ospedali, dai palazzi delle istituzioni ai comitati di quartiere ecc, ripensare lo spazio significa ripensare la potenza del corpo come agente e asse portante della discussione e del cambiamento delle nostre città. Se inizieremo a riflettere sui cambiamenti globali della nostra società e sulle trasformazioni antropologiche e socio culturali che ci investono ogni giorno, saremo in grado riscrivere i processi, le coplessità e le necessità del corpo che abitano le nostre città.
E ora, uscite e perdetevi!
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