Famiglia
Un eretico a mediarai
C'è un infiltrato nel sistema televisivo unificato dell'era Berlusconi. Si chiama Diego Cugia, ma in arte è Jack Folla. In onda su Radiodue.
di A. Capannini
Caro Diego, eccomi come promesso dopo aver ascoltato qualche altra puntata del tuo Jack Folla c’è. Nel frattempo sono successe alcune cose interessanti (da Moretti alla riunione con voi satiri indetta da Zaccaria, all’ultima battaglia sulla Rai). Direi che siamo alla vigilia di una stagione stimolante. Almeno, me lo auguro. Io vorrei proseguire il discorso iniziato con Freccero sul pensiero unico e i mass media. Ti butto via email alcune domande-provocazioni e aspetto. Maurizio.
Uei Maurizio, che fine hai fatto? Da quando il tuo editore al giornale è Natalia Estrada non ti sei fatto più sentire. Ti avevo telefonato al Moulin Rouge di Paris, pensavo che ormai facessi il critico lì, ma mi hanno detto che eri uscito. Ormai avevo perso la speranza. Invece, come si dice, quando c’è Vita…Comunque buttami pure queste provocazioni, vediamo se abbocco. Buona pesca. P.S. Io non sono un satiro, al massimo sono un tritone. Diego.
Diego, vedo che non cambi mai. L’ultima volta che ho visto la Estrada era con Limiti in onda su Mamma Rai… Comunque… leggi qua, l’ho trovata sul sito di Jack Folla: «Se l’idea di società che abbiamo dentro è un po’ meno ignobile, un po’ più solidale e felice di quella che stiamo scontando attualmente, non è nostro diritto pretenderla, ma è nostro dovere praticarla e attuarla, come se fosse quella e non questa l’Italia in cui viviamo». La riconosci? Come critica agli indignati speciali, ai disfattisti di professione, non c’è male.
Certo che la riconosco, è mia. Sono il ghost-writer di un latitante. Più che una critica al Paese del No, di cui sono un fervente cittadino, è un incitamento a dismettere l’abito da vittimista e ad avvertire il dovere di praticare, qui e ora, le idee in cui si crede. Senza qualche Sì, senza doveri, il Paese del No perde valore, diventa una Dirittopoli, la Città di mammà.
A proposito di Paese del No, una volta ti sei definito un “antitelevisivo”. Qualche giorno fa Jack Folla ha detto che in materia di televisione, «destra e sinistra pari sono». Qualcuno sarà rimasto scandalizzato…
Lo scandalo permanente è che una prassi immonda sia diventata morale comune: parlo della lottizzazione della Rai. Considerato che nessuno ha veramente intenzione di liberare il cavallo di viale Mazzini dalla stalla dei partiti, mi domando perché, accendendo il televisore, non ci si possa almeno rendere conto di vivere in un Paese di centrosinistra o di centrodestra. Da quando sono nato mi sono più familiari i volti di Pippo Baudo, di Andreotti, della Zanicchi e di Mike, di quelli dei miei parenti. La filosofia dei programmi di Michele Guardì (quello che farebbe fare il palinsesto alla sua vecchia zia di Palermo) la devo subire sin da quando ho l’età della ragione. Questo pensiero immobile e a senso unico, che usa sia a sinistra che a destra gli stessi pupazzi fino allo sfinimento e alla morte, mi atterrisce e lo ritengo responsabile della mediocrità, la vera dittatura italiana di oggi. Il regime dei senza idee e dei senza coraggio. Sono “antitelevisivo” di questo modello televisivo chiuso.
Rai e Mediaset, il duopolio televisivo è un diffusore del pensiero unico, uno strumento della globalizzazione, dell’omologazione. Culturalmente parlando il duopolio è un monopolio. Possiamo coniare un neologismo: che ne dici di Mediarai?
Che fai, rubi le battute? Mediarai è di Jack Folla. In attesa della nomina di Berlusconi a presidente della Repubblica: il Quirinaleset.
Che contorni ha questo monopolio?
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Se dovessi mandare tre email a tre personaggi della tv chi sceglieresti?
Cosa scriveresti loro? A Celentano per esempio?
Che è meglio confrontarsi con un altro pessimo carattere (come abbiamo fatto a Francamente me ne infischio) e rischiare di perdere la pazienza, che confrontarsi con chi è sempre accondiscendente, e rischiare di non rinnovarsi, di rimanere fermi. Sei un grande. Dovresti saperlo.
A Clemente Mimun?
Caro Clemente, perché mi telefonavi dicendo di essere entusiasta di Alcatraz, e poi telefonavi a tutta la Rai per farlo censurare?
A Pippo Baudo?
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Cosa pensi del fenomeno dei format tipo Grande Fratello? Non sono il tentativo scoperto di uniformare la comunicazione, di globalizzarla? Aveva ragione McLuhan alla grande…
è la Mc’Donaldizzazione della TV. Quelli non sono format, sono hamburger. Ma la Rai e Mediaset non sono s.p.a.? Se sì, allora vorrei sapere qual è il capitale di rischio. E se non c’è rischio, che imprese sono?
Se la televisione è la grande arma della globalizzazione, la radio può essere una via di fuga? Può essere uno strumento new global, in grado di usare la globalizzazione per scopi costruttivi?
Non mi faccio illusioni. La radio è più libera solo perché circolano meno denari e l’audience non ha la stessa imponenza di quella televisiva. Altrimenti si recita sempre la stessa messa, con modalità diverse. Siamo arrivati a un punto in cui non bastano nuovi autori, ci vorrebbero degli hacker. Professo la “guerriglia dell’etere”. Ottenuto uno spazio per una cosa se ne fa un’altra e si va in onda a oltranza finché non ti cacciano. Le idee vanno fatte esplodere in diretta, dimostrando agli zombies che la fantasia emoziona ancora. Che il pubblico è molto più avanti di quanto i funzionari di Rai e Mediaset ci lascino credere.
Proviamo un altro paio di email: a Beppe Grillo che cosa scriveresti?
Caro Beppe, a questo punto o fai come quelli di Greenpeace e irrompi in diretta nei consigli d’amministrazione della Nestlé e di Microsoft, oppure sarebbe più dirompente che tu tornassi a fare i tuoi show dall’interno del sistema, e cioè in prima serata su Rai e Mediaset. Il fatto che tu, ogni volta, dica «Va bene, ma allora togliete la pubblicità prima, durante e dopo», non può accettarlo nessuno, e lo sai. Pretendi invece che nessuno sappia cosa dici. Ad Alcatraz, per esempio, nessuno legge il copione prima della messa in onda. Lo consegno a fine programma. Questa è l’unica garanzia di libertà. Il resto è utopia. E senza di te, Beppe, il piatto piange.
A Orson Welles?
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Dopo il j’accuse di Nanni Moretti ai vertici dell’Ulivo, sono tornati di moda gli apocalittici e gli integrati. Strade alternative non ce ne sono? Mi pare che Jack Folla stia nel partito degli apocalittici, o sbaglio?
No, Jack è realista. è uno che ha la memoria da elefante. Non ama i voltagabbana e quei politici che sono diventati come i personaggi di Blade Runner: androidi e mutanti. Jack è un uomo della folla che scava nelle notizie e nella memoria privata e storica, un minatore della verità. Questa è diventata la Repubblica delle Bugie.
Per chiudere posso chiederti di girare a Jack questo pensiero: non è contraddittorio che un latitante stia dalla parte dei magistrati?
No, se i magistrati stanno alla sbarra. Non è che io non abbia presente gli eccessi di Tangentopoli. Proprio stamattina ho riletto la lettera-testamento ai familiari di Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni. Cagliari dice verità molto toccanti, in quell’addio, ma neanche una parola sulle tangenti. In quella pur nobile e terribile lettera, non un cenno, non una parola alla ragione autentica per cui era in carcere. Capisci? Cagliari era in buona fede. Gli italiani sono sempre in buona fede. Suppongo che pure Totò Riina lo sia. Questo è il problema. Ci vediamo al Crazy Horse. Tuo Diego Cugia
P.S.
Dalla prima puntata del settembre scorso, gli ascolti di Jack Folla c’è (Radiodue, dal lunedì al venerdì dalle 7 alle 7,05 e poi dalle 13,40 alle 14,25) sono aumentati del 53%. Il suo primo libro, Alcatraz, è in ristampa e fino a oggi ha venduto 160mila copie. Il 12 marzo uscirà il secondo libro Jack l’uomo della folla (Rai-Eri/Mondadori). Il sito Internet www.Jackfolla.it è stato visitato da mezzo milione di navigatori. Ogni giorno, tra lettere, email e fax arrivano in redazione dalle 300 alle 500 lettere-messaggi. Diego Cugia scrive 25 cartelle al giorno, in quattro mesi l’equivalente di dieci romanzi. Jack Folla c’è è in palinsesto fino al 30 maggio, poi chissà.
Buona fortuna, Diego.
Tuo, Maurizio Caverzan
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