Economia

Un equity market per il sociale

Intervista al presidente Stefano Granata in chiusura dell'evento: «Vorremmo che si aprisse grazie a questa iniziativa una fase di definizione e attuazione di misure strutturali che permettano una virtuosa veicolazione degli investimenti verso il welfare»

di Redazione

«La decisione del Governo di inserire in busta paga 80 euro è un’iniziativa non solo positiva, ma vitale in quanto riguarda il 60/70% degli operatori del mondo cooperativo», a dirlo è stato Stefano Granata presidente del Gruppo Cooperativo CGM (74 consorzi territoriali, distribuiti in tutte le regioni, che coordinano l’attività e l’iniziativa di circa mille cooperative e altre 140 organizzazioni non profit) chiudendo i lavori dell’Assemblea annuale del Gruppo.

«Questo provvedimento è un segnale importante ma non esaustivo, in particolare per un settore – quello dell’impresa sociale – che in questi anni di crisi ha retto anche grazie a un equilibrio nel rapporto salariale tra dipendenti e dirigenti. Nel nostro mondo la “regola Olivetti” richiamata da Renzi è un dato di fatto visto che stiamo parlando di dinamiche salariali 1 a 2 o, al massimo, 1 a 3». «Gli annunciati 500 milioni di euro di Fondo per le nuove Imprese Sociali», continua Granata, «rappresentano un'opportunità per il Governo di investire in un settore economico che potrà essere uno dei driver per la ripresa del Paese». «Vorremmo che si aprisse grazie a questa iniziativa una fase di definizione e attuazione di misure strutturali che permettano una virtuosa veicolazione degli investimenti. A supporto serve la creazione di un equity market attento al mondo del sociale. Sfruttiamo quindi questa occasione per lanciare una nuova cultura imprenditoriale anche nel sociale», aggiunge Granata. Concetti su cui il numero uno del Consorzio Gino Mattarelli aveva ragionato in un dialogo pubblicato sul numero di Vita della scorso dicembre.   

Partiamo dalla fotografia della vostra realtà: una recente ricerca sulla vostra rete parla di 74 realtà ibride che lavorano sul crinale profit/non profit. Di cosa si tratta?
Questa domanda ha bisogno di una premessa. Gli ibridi sono nati e stanno nascendo in modo spontaneo e non come conseguenza una scelta di governance. Noi li vogliamo studiare per portarli a patrimonio e quindi dentro i confini del nostro sistema. Un’altra caratteristica è che queste esperienze si muovono nell’ambito di mercati nuovi dove sono necessari investimenti esterni rispetto a quelli che le cooperative sociali sarebbero in grado di mettere in campo. Penso per esempio alla sanità, all’ambiente o all’housing sociale.

Dal punto di vista statutario quali sono le soluzioni più sperimentate?
C’è un po’ di tutto, dai contratti di rete ai consorzi, ma le formule più usate sono la srl-impresa sociale seguita dalla spa-impresa sociale. Si tratta di aggregazioni societarie all’interno delle quali si ritrovano cooperative sociali, fondazioni, enti profit e investitori privati.

Cgm ha un fatturato aggregato di circa 1,2 miliardi di euro. Quanto  arriva dagli ibridi?
Non molto, ma non è questo il dato più significativo. Visto che sono praticamente tutte start-up vale di più considerare l’investimento. E in questo caso stiamo parlando di cifre che oscillano fra i 30 e i 40 milioni di euro, ovvero più della metà degli investimenti di tutta la rete.

Non crede che il coinvolgimento di soggetti diversi possa in qualche modo spingere la cooperazione sociale a uscire dal suo perimetro di riferimento?
Trent’anni fa le cooperative sociali hanno rotto gli schemi creando discontinuità rispetto agli assetti precedenti. Lo hanno fatto per tenere fede al loro mandato che è quello di dare risposte ai bisogni dei cittadini. Da quella frattura è poi nata, e sottolineo il “poi”, la legge 381 sull’impresa sociale. Io credo che oggi ci troviamo in un altro momento in cui per essere generativi  e rispondere al nostro mandato dobbiamo guardare a nuovi strumenti, primo fra tutti l’impresa sociale. E dobbiamo farlo nella consapevolezza che in mancanza di fondi pubblici occorre cercare le risorse altrove. Venendo alla sua domanda: l’indagine sugli ibridi ci sta mostrando che il meccanismo funziona solo quando è la cooperazione sociale a innestare il meccanismo e non quando lo subisce. 

Quindi nessun timore che siano personalità come Letizia Moratti o Giovanna Melandri ad andare in televisione e sui grandi giornali a parlare di impresa sociale?
Assolutamente nessuno, anzi questo meccanismo può essere un volano. Noi rappresentiamo il 90% delle imprese sociali e possiamo contare sui due pilastri reputazionali che ci sono riconosciti da tutti: la capacità di fare inclusione e di produrre coesione sociale. La Moratti o chi per lei dovrà giocoforza confrontarsi con questa realtà. Poi ribadisco non siamo a un tavolo di risiko: da parte nostra dobbiamo allargare il recinto, dobbiamo aprirci ad altri mondi, consapevoli che questo non significa disconoscere una storia. Sia chiaro che su alcune storiche battaglie, come quella coi comuni sul socio-assistenziale non arretreremo di un centimetro. 

Che giudizio dà della legge 155/2006 sull’impresa sociale?
È una norma che fino a ieri non funzionava, ma non tanto perché fosse sbagliata, quanto perché in un contesto nel quale le casse pubbliche reggevano, bastava la cooperazione sociale. Ora invece il quadro è cambiato e infatti le imprese sociali stanno nascendo. Poi certo la 155 non è la migliore delle norme possibili. Va modificata: per esempio io penso che il capitale investito vada in qualche modo remunerato, come del resto già prevede la legge sulle cooperative sociali, tenendo comunque presente che questi mercati non possono dare rendimenti del 12/13/15%. Non solo: probabilmente sono necessari interventi anche sulla regolamentazione delle governance. Ma il punto che mi interessa maggiormente è che l’impresa sociale divenga oggetto di dibattito pubblico, che ci sia un confronto aperto,  senza che nessuno abbia l’ansia di mettere il cappello sulla futura riforma.


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