Leggi
Un diritto di famiglia europeo invece di 27
L'associazione degli avvocati matrimonialisti in un convegno pone il problema dell'assenza di una giurisdizione comune
di Redazione
Quanti diritti di famiglia ci sono in Europa? Tanti quanti sono gli Stati che aderiscono all’Unione europea. Legislazioni che a volte entrano in contrasto in caso di matrimoni, separazioni, divorzi e soprattutto affidamento dei figli nel caso di unioni tra persone appartenenti a nazioni diverse. L’esigenza di definire una giurisdizione comune per il diritto di famiglia è stata al centro del convegno “Codice europeo della famiglia: realtà o utopia? Legislazioni e prassi a confronto” che si è svolto a Milano nei giorni scorsi. «Troppe sono le differenze normative tra stato e stato in ordine alla tutela della famiglia, dei minori e più in generale delle persone», ha commentato Gian Ettore Gassani, presidente nazionale Ami (Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani), all’ipotesi di un codice europeo comune sulla famiglia. «Il raggiungimento di questo obiettivo renderà per davvero l’Europa unita e non solo un insieme di paesi amici, uniti da strategie economiche e militari».
Ogni anno in Europa si contano 170mila divorzi tra coniugi di diversa nazionalità, il 20% dei divorzi complessivi nell’Unione. Solo in Italia, otto matrimoni “misti” su dieci falliscono per diversità culturale. Nel Vecchio continente, esistono almeno 27 diritti di famiglia (tanti quanti i paesi dell’Unione) completamente diversi. Per esempio a Malta è possibile divorziare solo da maggio 2011, mentre in Francia esistono già da oltre un decennio i Pacs, i Patti Civili di Solidarietà. Secondo l’Ami, a questo proposito esiste una preoccupante disomogeneità sul rispetto dei diritti delle coppie di fatto, eterosessuali o omosessuali: in molti paesi i conviventi sono equiparati in tutto e per tutto alle coppie sposate, in altri, come Paesi Bassi, Belgio e Spagna, la normativa ha aperto anche al matrimonio tra persone dello stesso sesso per realizzare la parità perfetta tra cittadini.
In generale ogni Stato ha un suo diritto interno e un suo processo con sensibili differenze, specie su tempi e prassi del divorzio, sugli assegni di mantenimento e alimentari, sulle procedure di riconoscimento di paternità, sull’affidamento dei minori e sui protocolli di ascolto.
Da non sottovalutare poi il fenomeno delle sottrazioni internazionali di minori che stanno affliggendo migliaia di genitori italiani, spesso privi di tutela nonostante le leggi internazionali. È il caso ad esempio di Marinella Colombo, protagonista di una lunga e intricata vicenda giudiziaria, relativa al trasferimento dei figli dalla Germania all’Italia, tuttora aperta e al vaglio della Cassazione (prossima udienza 21 maggio).
Problemi sorgono anche a seguito del decesso di una persona: in Europa si contano 100mila pratiche di successione transnazionale. Questi numeri hanno indotto l’Unione europea a mettere tra le sue priorità lo sviluppo di uno spazio giudiziario comunitario, per consentire ad ogni cittadino europeo di far valere i suoi diritti indipendentemente dallo stato membro in cui si trova.
In Italia negli ultimi 40 anni si è assistito alla riduzione del 50% del numero dei matrimoni, dai 420mila del 1972 ai 210mila del 2010. Negli ultimi 20 anni sono triplicati i procedimenti di divorzio e separazione. Oggi, quattro matrimoni su dieci si trasformano in separazioni e divorzi.
L’evidente trasformazione della famiglia italiana degli ultimi anni si evidenza anche nel netto aumento delle coppie di fatto, e dei bambini nati fuori dal matrimonio (uno su cinque).
L’Ami osserva come il diritto di famiglia italiano attraversi diverse difficoltà e ritardi. Un esempio? Ultima nel mondo l’Italia ha recepito l’affidamento condiviso (Legge 54 del 2006). Si segnala poi la mancanza di tutele per le coppie di fatto, nonostante la recente sentenza della Cassazione (la 4184/2012), con cui viene definito che le persone omosessuali conviventi in stabile relazione di fatto sono titolari del diritto alla “vita familiare” e possono agire in giudizio in “specifiche situazioni” per reclamare un “trattamento omogeneo” rispetto ai conviventi matrimoniali. Altre criticità sono rappresentate da tempi e prassi per ottenere il divorzio, che deve essere sempre preceduto dalla separazione: almeno quattro anni per il divorzio consensuale e tempistiche lunghissime in caso di rito contenzioso, mentre in Parlamento giace il disegno di legge sul “divorzio breve”.
Da non sottovalutare poi la frammentazione delle competenze giurisdizionali, con l’anomalia italiana che vede la presenza di tre giudici (Giudice Ordinario, Tribunale per i Minorenni e Giudice Tutelare). Molti addetti ai lavori spingono verso un’unica figura, rappresentata dal Tribunale per la Famiglia, formato da magistrati iper specializzati. La disomogeneità delle prassi nei 165 tribunali italiani, richiama la necessità di definire linee guida condivise sul modus operandi dei giudici.
Durante il convegno sono emerse anche altre criticità come la discriminazione dei figli naturali rispetto a quelli legittimi, il mancato riconoscimento dei patti prematrimoniali, il calo del 40% delle adozioni internazionali nel nostro paese, che arrivano a costare anche fino a 30mila euro. E ancora, l’aumento delle violenze intra familiari (circa 200 l’anno), che rappresentano la prima causa di morte violenta in Italia, peggio degli omicidi imputabili alla malavita organizzata.
I matrimonialisti dell’Ami hanno posto l’attenzione sui crescenti fenomeni di emigrazione all’estero degli italiani per esercitare i propri diritti, dal turismo procreativo al “turismo divorzile”: negli ultimi 6 anni 8mila coppie italiane hanno scelto di divorziare all’estero.
«Tutte queste inefficienze ci dicono come in Italia serva un diritto uguale per tutti, e che si allinei al resto del mondo occidentale», conclude con un auspicio l’avvocato Elena Menon, presidente distrettuale di Milano dell’Ami, «affinché un codice europeo della famiglia non resti un’utopia».
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.