Cultura

Un delitto pensato a scuola

L’uccisione di monsignor Locati: un gruppo voleva il pieno controllo sull’istituto di Merti nella stessa diocesi del vescovo assassinato.

di Pablo Trincia

Una scuola cattolica, una serie di assegni e di finanziamenti bloccati, un diverbio con qualche capoclan o con alcuni influenti politici locali. E un sacerdote sospettato di complicità con gli assassini. Sono alcuni degli indizi che Vita ha raccolto sulla morte di monsignor Luigi Locati, ucciso il 14 luglio scorso da tre (o più) uomini armati a Isiolo, città del Kenya centrale di cui era vescovo. Una morte violenta, avvenuta in una zona da tempo teatro di forte tensioni interetniche e a sfondo religioso tra diversi clan. Al centro del delitto vi sarebbe il controllo di una scuola cattolica di Merti, località a circa duecento chilometri da Isiolo. Ma andiamo con ordine. In Kenya da oltre 40 anni, monsignor Locati era una vera e propria istituzione a Isiolo e dintorni. Un uomo – raccontano – dedito al dialogo e alla cooperazione con fedeli di ogni confessione e religione, dunque all?apparenza non in conflitto con alcuno dei clan della zona. All?apparenza. Sponsorizzata dallo stesso vescovo, la Merti Secondary School si trova in una zona dove abitano soprattutto i Borana, un?etnia di pastori a maggioranza musulmana che discende dagli Oromo dell?Etiopia. La loro presenza nelle aride regioni del Kenya centrale ha spesso generato scontri e tensioni con altre popolazioni locali (Gabra, Meru, Turkana, Somali), quasi sempre per questioni territoriali o di pascolo. L?ultimo episodio di violenza, avvenuto il 12 luglio scorso a Turbi, villaggio nei pressi della città centro-settentrionale di Marsabit, ha scosso l?intero Paese: più di 70 morti e almeno 30 feriti tra la popolazione Gabra, oltre ad alcune migliaia di sfollati causati da una serie di attacchi imputati a miliziani Borana. Secondo un missionario del luogo che conosceva bene Locati, e che preferisce mantenere l?anonimato per motivi di sicurezza, la tensione tra la comunità Borana e le altre etnie a Merti stava degenerando. «I Borana volevano a tutti i costi ottenere il controllo della scuola cattolica», ha spiegato a Vita il missionario. «Per questo hanno cominciato a cacciare, anche con la forza, studenti e insegnanti delle altre etnie affinché solo i Borana avessero accesso alle aule. A sostenerli c?era anche padre M., un sacerdote locale di etnia Meru, ma nato e vissuto tra i Borana. Quando il vescovo, dopo ripetuti avvertimenti, l?ha saputo, ha deciso di tagliare i finanziamenti alla scuola, e di chiudere il suo conto in banca, a cui anche il sacerdote di Merti aveva accesso. Questo ha scatenato la reazione dei Borana». La tesi viene confermata da un?altra fonte missionaria della zona: «Monsignor Locati aveva avvertito più volte che, se le violenze non fossero cessate, avrebbe bloccato gli assegni alla scuola di Merti e che questa sarebbe passata in mano allo Stato». Anche questa fonte chiede di non essere citata, perché «mi creda, qui la situazione è davvero rischiosa». Franco Givone, direttore del Centro missionario di Vercelli, cui è legata la diocesi di Isiolo, va cauto. E spiega: «C?erano tensioni con la comunità Borana della zona di Merti. Non è però da escludere che alcuni di loro volessero controllare la scuola nonostante il parere contrario del vescovo, che invece voleva fosse frequentata da studenti e insegnanti di tutti i gruppi etnici». Ma la tesi della scuola di Merti e della contesa tra monsignor Locati e i Borana non convince un vecchio conoscente del vescovo, don Pio Bono. Dopo aver passato 30 anni a Isiolo, don Bono è stato trasferito nel 1998 in Mozambico, dove vive tuttora. Vita l?ha raggiunto telefonicamente nella parrocchia di Sant?Eusebio, presso la località marittima di Inhassoro. Racconta: «Conosco la scuola cattolica di Merti, che io stesso ho fondato. Ai miei tempi non c?erano molti Borana, anche se sono passati sette anni da quando me ne sono andato. Quello che so è che tra i Borana, un popolo con cui ho vissuto tre decenni e di cui conosco bene la cultura e la lingua, si nascondono alcuni estremisti islamici. Uno di loro, A.G., dopo aver studiato in Sudan e Pakistan, è tornato a Isiolo imbevuto di odio contro noi cristiani. Come missionario sono anche stato minacciato da alcuni di questi fanatici. Non è escluso che siano stati loro». Quelle vite per l’Africa Il bilancio di un anno Nel 2004, l?impegno in attività missionarie è stato fatale a 10 sacerdoti, un religioso, una religiosa e tre laici. Tutti sono stati uccisi in modo violento, vittime di aggressioni, furti e rapine perpetrati in contesti sociali particolarmente precari (nella foto Annalena Tonelli assassinata nel 2003). Su 15 omicidi, sei si sono consumati in Africa. C?è chi, come DON GERARD FITZIMONS, un sacerdote inglese attivo presso la chiesa di Santa Maria e San Giuseppe a Colesberg (Sudafrica), è rimasto vittima di una rapina. Per altri, il movente è chiaramente politico. È il caso di padre GERARD NZEYIMANA, vicario episcopale della diocesi di Bururi (centro Burundi), ucciso il 19 ottobre scorso da uomini armati mentre rientrava in automobile da Bujumbura. Don Gerard era noto per le sue attività a favore della pace e per le sue denunce contro le violenze perpetrate contro i civili. La stessa sorte è stata riservata a padre LUCIANO FULVI, missionario comboniano ucciso nella sua diocesi di Laybi, alla periferia di Gulu (Nord Uganda).


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