Welfare

Un decennio senza giustizia

È stato presidente della commissione Giustizia con i governi dell’Ulivo. Ha difeso Sofri e Carlo De Benedetti. E il garantismo è nel suo dna. Intervista a Giuliano Pisapia.

di Ettore Colombo

Con questa intervista a Giuliano Pisapia si apre una sezione del giornale che terremo viva per tutto l?anno: Vita ricostruirà la storia di questo decennio attraverso la voce e le testimonianze di tanti protagonisti. Un modo di fare storia ?viva?. Cioè storia di Vita. (Giuseppe Frangi)

Giuliano Pisapia (classe 1949, milanese doc, avvocato penalista, figlio di Giandomenico Pisapia, appena il ?padre? della riforma del Codice di procedura penale, single non pentito, tifoso dell?Inter) esemplifica plasticamente il concetto di ?diritto mite?. Nel senso che lui, il ?giovane Pisapia? come lo chiamavano tutti fino a qualche anno fa per distinguerlo dal padre (oggi lo chiamano tutti Pisapia e basta essendo uno degli avvocati più quotati a livello nazionale), luminare del diritto e principe del foro, non era cattivo neanche negli anni 70. Era di sinistra, certo, come tutti, e radicale pure, ma anche se è incappato lui in prima persona nelle maglie della ?repressione? (poliziesca, giudiziaria e politica) proprio non ce lo vediamo il giovane Pisapia in piazza a tirare molotov col volto coperto. Troppo intelligente, troppo giudizioso, troppo mite. Allora uno potrebbe pensare: è un secchione. Sì, è vero, Giuliano Pisapia è un secchione: due lauree (in Giurisprudenza e in Scienze politiche), difensore di imputati illustri (da Adriano Sofri a Carlo De Benedetti), “vanta una notevole attività professionale come avvocato penalista nei tribunali italiani e presso la Corte europea dei diritti”, recita la sua biografia ufficiale, quella che si può facilmente consultare sul sito internet della Camera dei Deputati, dove è onorevole (indipendente, di nome e di fatto) nel gruppo del Prc, cioè del partito di Fausto Bertinotti, Rifondazione comunista, e ormai già alla sua seconda legislatura. Ma è anche un uomo da sempre vicino alle tematiche e alle sensibilità proprie del Terzo settore, in particolare quelle sul tema giustizia, carcere e diritti. Ecco perché questa lunga serie di interviste sui dieci anni di trasformazioni e rivolgimenti, nel mondo del non profit, comincia proprio da lui. Amante della ?giustizia giusta?, infatti, Pisapia ha messo, per dirne una, a disposizione di varie associazioni di volontariato e organismi nazionali e internazionali la sua lunga esperienza giuridica. Potremmo continuare con i titoli ma preferiamo dare la parola a Pisapia, che abbiamo incontrato nei due studi-baricentro della sua vita, quello di Roma da parlamentare e quello di Milano da avvocato. Vita: Pisapia, com?è cambiato il ruolo e la percezione della giustizia, in Italia, dal 1994 al 2004? Giuliano Pisapia: In questi anni sicuramente sono aumentate le garanzie per i cittadini e quindi il rischio di errori giudiziari è drasticamente diminuito grazie all?adozione del nuovo Codice di procedura penale, che però risale al 1989. Oggi molto è cambiato e la difesa è realmente parte del processo. Un progresso, non c?è dubbio. Ma in questi dieci anni la giustizia non ha invece fatto grandi passi in avanti rispetto all?esigenza, particolarmente e giustamente sentita da parte dei cittadini, di accorciare i tempi processuali, che sono rimasti vergognosamente lunghi. Si va dagli 8 ai 12 anni di media, sia nel campo del diritto penale che in quello del diritto civile. Una prerogativa costituzionale, quella di avere diritto a un processo in tempi rapidi e non solo ?giusto?, costantemente violata. Quando venni eletto per la prima volta in Parlamento, nel 1996, grazie alla vittoria dell?Ulivo venni poi anche nominato presidente della commissione Giustizia della Camera. Vita: Come andò quell?esperienza? Pisapia: In quegli anni mi sono illuso che si potesse, anche col mio contributo, operare un?inversione di tendenza nel campo dei tempi processuali. Avevamo in mente e varammo, come commissione Giustizia, un progetto organico di riforma della giustizia, peraltro all?unanimità, grazie anche al clima che si era creato in commissione tra la maggioranza e l?opposizione di allora, riuscendo ad aggirare il grave problema dello scontro tra politica e giustizia, tornato con prepotenza alla ribalta in questi ultimi anni. Insomma, tra il 1996 e il 1998, avevamo dato corpo e figura a un pacchetto di riforme che tutti gli operatori del mondo della giustizia (magistrati, avvocati, eccetera) aspettavano con ansia e chiedevano da tempo. Peraltro, in quei due anni, anche nelle relazioni dei procuratori generali della Corte di Cassazione di allora, all?inaugurazione degli anni giudiziari 1997 e 1998, si riconobbe che vi era stata un?effettiva inversione di tendenza dei tempi processuali e un miglioramento dell?effettività dell?esercizio del diritto alla difesa. Basti pensare alle nuove norme sul patrocinio dei non abbienti e sulla difesa d?ufficio. Vita: Ma allora, diciamo pure chi ha impedito che si realizzassero queste riforme e perché? Pisapia: Il problema del nostro Paese, non solo in questo campo, è che magari si fanno anche buone riforme ma nel momento in cui sono prive di strutture, organici e fondi per farle funzionare, diventano del tutto inutili. Senza dire che alcuni singoli ed eclatanti episodi di malagiustizia, invece che far riflettere, comportano una immediata reazione del ceto politico, a prescindere dal suo colore, che cerca di dare all?emotività, a volte rabbiosa, dell?opinione pubblica una risposta propagandistica e non basata su obiettivi e progetti organici di riforma e di cambiamento del mondo della giustizia. Poi, per quanto riguarda le riforme specifiche varate nel periodo 1996-98, negli ultimi anni di legislatura, quelli che vanno dal 1999 al 2001, il governo (si trattava sempre di governi dell?Ulivo, prima D?Alema e poi Amato, ndr) ha di fatto impedito che venissero attuate le riforme varate, rifiutandosi di usare la legge delega per farlo o è intervenuto con misure di segno uguale e contrario. La depenalizzazione dei reati minori, ad esempio, varata, peraltro all?unanimità, nel 1997 (era la prima dal 1930 in poi), non è stata resa effettiva perché appunto il governo si rifiutò di esercitare la legge delega parlamentare (ministro della Giustizia era Oliviero Diliberto, ndr) per non dire delle nuove specie di ?reati? punibili con la detenzione (duplicazione di cd e pc, per esempio) e introdotti con tutta fretta, che ingolfarono la macchina già stressata della giustizia penale. Vita: Due esempi negativi della ?disfunzione? di ruoli: il giudice Di Pietro e l?avvocato Taormina? Pisapia: Certamente due esempi negativi ma il punto vero del problema è che ?parte? della politica e ?parte? della magistratura (la parte peggiore, in entrambi i casi) sono quelli che hanno avuto più audience presso i media e dunque anche presso l?opinione pubblica, creando una situazione rovinosa in cui alla sfiducia dei cittadini nei confronti della giustizia si somma la loro diffidenza verso questo tipo di avvocati e di giudici che non ha certo dato una buona prova di sé. Vita: Due esempi di processi famosi (e grandi errori giudiziari): il processo Sofri e quello Andreotti. Pisapia: Beh, si tratta senz?altro di due esempi clamorosi di ?malagiustizia?. Mi permetto di parlarne perché di uno (Sofri) sono stato avvocato difensore, dell?altro (Andreotti) ho letto tutte le carte processuali. Non dico che a fronte di elementi investigativi iniziali non si dovesse indagare, ma all?interno di quei processi non c?è stata, da parte della magistratura inquirente e giudicante, l?umiltà e la capacità di essere autocritica e capire di essersi infilata in una strozzatura giuridica dove, in entrambi i casi, da un lato, veniva dato eccessivo credito ai collaboratori di giustizia senza effettuare i riscontri necessari e, dall?altro, si poteva riscontrare un vero e proprio accanimento giudiziario da parte della pubblica accusa che non teneva conto delle effettive emergenze processuali. Il fatto aggravante, in entrambi i processi, sono state naturalmente le polemiche e il clima di scontro politico-giudiziario che ha impedito un esame critico delle valutazioni emerse nel corso del dibattimento. Vorrei però anche mettere in luce le differenze, tra i due processi: in quello Sofri, dopo la prima condanna, le sezioni unite della Corte di Cassazione avevano annullato la motivazione di condanna con motivazioni durissime poiché mancava uno degli elementi fondamentali per emettere una sentenza di colpevolezza, i ?riscontri?. Il nuovo processo che venne celebrato è stato ancora di assoluzione, ma con la nota ?sentenza suicida? scritta da un giudice a latere, togato, che produsse un atto inconcepibile e gravissimo, un vero e proprio sbrego alla sua funzione e alla concezione del diritto, rifiutandosi di rispettare il lavoro del collegio giudicante e scrivendo una sentenza buona solo per essere annullata. Vita: E per il processo Andreotti? Pisapia: Dopo l?assoluzione ottenuta in primo grado, risultava del tutto illogica la motivazione di condanna: il senatore a vita non avrebbe dato l?ordine di uccidere il giornalista Mino Pecorelli, non avrebbe neanche ?rafforzato? la volontà degli esecutori di uccidere (esecutori, peraltro, finiti poi tutti assolti) ma chi ha ucciso, rimasto a tutt?oggi un ignoto, avrebbe ?interpretato? i desideri di Andreotti. Nel caso di Andreotti, però, com?era giusto, vi è stato l?annullamento della condanna senza rinvio da parte della Corte di Cassazione; nel caso di Sofri, no. Vita: Chiudiamo con il carcere… Pisapia: Non posso dimenticare, a proposito di carcere, la vergognosa ?sceneggiata?, mi scuso del termine, dell?indulto e dell?amnistia. Malgrado l?appello del Papa, del presidente della Repubblica, dei cappellani degli istituti penitenziari, degli stessi sindacati della polizia penitenziaria, oltre che delle associazioni di volontariato e i numerosi appelli nell?anno del Giubileo, e soprattutto malgrado il corale applauso in Parlamento quando il Sommo Pontefice ha chiesto un gesto di clemenza, quasi tutte le forze politiche, sia di centrodestra che di centrosinistra, non hanno avuto la volontà e il coraggio di dare una risposta concreta a una situazione carceraria di cui il nostro Paese dovrebbe solo vergognarsi: e ciò solo per meschini calcoli elettoralistici. Personalmente, dopo essermi battuto per un significativo provvedimento di clemenza, deluso da tutto questo, continuerò la mia battaglia per un mondo più giusto, dove prevalga la pace, la solidarietà, la giustizia e dove la lotta alla povertà, alla discriminazione e all?ingiustizia non sia momento sporadico di una vita, ma elemento fondamentale di impegno quotidiano. E voglio dire che grande aiuto e conforto in questo impegno e per questo obiettivo me li dà ogni settimana la lettura di Vita, un giornale che, se posso permettermelo, sento profondamente anche in parte mio.

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