Cultura

Un colpo di spazzola

Melissa P. arriva sul grande schermo con una storia annacquata rispetto alla potenziale carica psicologicamente eversiva del diario adolescenziale

di Maurizio Regosa

Il meglio di questo film si è svolto, per me, in sala. Cioè in una platea gremita da ragazzini ansiosi di riconoscersi nel destino di Melissa, desiderosi di avere anche loro i cento colpi di spazzola per dimenticare il dolore (ma si può?). Ragazzini metropolitani o aspiranti tali, s?intende, lei con l?ombelico che ignora il freddo, lui con i pantaloni che faticano a star su. Semplici spettatori, più che spettatori competenti per giudicare, o anche semplicemente per esprimersi con immediatezza su quanto stavano vedendo.

Ecco allora risatine neanche tanto imbarazzate. Commenti più agro che dolci. Battute pesanti e persino al vetriolo. Insomma un bel can-can che, lo confesso senza mezzi termini, mi ha aiutato ad arrivare in fondo alla proiezione. Perché la vivacità è sempre apprezzabile, soprattutto quando sullo schermo stanno scorrendo, una dopo l?altra, banalità e ovvietà. Che si alternano a luoghi triti e comuni peraltro mal raccontati.

Del resto come prendere sul serio dei personaggi mal delineati, senza sfumature e senza brio (in particolare, ma non solo, fra gli adulti)? O situazioni che sulla carta avrebbero potuto, e non sanno, creare una tensione emozionale sufficiente? Il fatto è che, anni dopo il non irresistibile Le età di Lulù (il film che aveva lanciato Francesca Neri, qui nelle vesti insolite di produttrice insieme a Claudio Amendola) siamo tornati al tempo delle mele. Ok, in versione terzo millennio, ma con la stessa acerba immaturità che non convince proprio per niente.

Giacché lo scandalo vero, caro Luca Guadagnino, non è raccontare il sesso fra adolescenti. È – semmai – raccontarlo con il perbenismo di una rappresentazione filtrata, con la preoccupazione di non dire troppo perché non si sa mai. È narrarlo a metà, non prendendolo sul serio e perciò facendo un?operazione volgare (l?osceno è ciò che è fuori dalla scena, etimologicamente). È descriverlo mantenendo sotto sotto un atteggiamento di adulta sufficienza (sono solo giochi da ragazzi?).

Certo, la sfida era difficile. Non a caso sono pochissimi i film riusciti che non trattino gli adolescenti da quelle ?anime belle? che non sono. Ci hanno provato, con esiti diseguali, registi americani come Larry Clark (anche con il suo ultimo Ken Park), Gus Van Sant (da Belli e dannati sino a Elephant) e il francese André Téchiné (Les roseaux sauvages. L?età acerba).

Ma almeno i loro tentativi mostravano un certo coraggio e una certa coerenza. Anche dal punto di vista stilistico. Affermazione che non si può fare per Melissa P., piatto e scialbo anche in questo.

Luce in sala
Broken Flowers di J. Jarmush, Usa, con B. Murray
Bill Murray è geniale e lo spiega così: «Recitazione minimalista? È perché
non so fare nulla, quindi sto lì con una faccia da fesso»
****

Ogni cosa è illuminata di L. Schreiber, Usa, con E. Wood
Tratto dal romanzo di Safran Foer, il film, guarda al passato e a problemi attuali, come il confronto tra le culture
***

Chicken Little-Amici per le penne di Mark Dindal, animazione
Occhiali da nerd e piglio da salvatore del mondo: il polletto della Disney è l?anti-eroe digitale che non si arrende mai.
*

Crash-Contatto fisico di P. Haggis, Usa/D, con D. Cheadle
L?esordio alla regia dello sceneggiatore di Million Dollar Baby è uno spaccato sulla questione razziale: quanto mai attuale nella sua definizione della distanza fisica
***

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