Sostenibilità

Un cantiere faraonico, una regione ko. Sicilia: il ponte non sta su

Dopo il disastro ferroviario i dubbi sul ponte di Messina; gli ambientalisti protestano: strade, ferrovie cadono a pezzi e l’acqua scarseggia.

di Giampaolo Cerri

A 15 chilometri da dove sorgerà la Piramide del Terzo Millennio, il Ponte sullo Stretto, c?è l?Ottocento. Al di là dei Peloritani che sovrastano Messina comincia, infatti, una ferrovia datata 1898. Futuro e passato, modernità e anticaglia, in un fazzoletto di terra. Di là, sogni in ferrocemento, di qua quel binario unico e sgangherato, il cui raddoppio, dopo 16 anni di lavori, ha prodotto solo 70 chilometri di nuova strada ferrata. Da una parte, il progetto di arcate che sfidano i venti, dall?altra una tratta vetusta che è costata la vita a 8 persone, nell?Intercity che è volato giù per la massicciata sabato 20 luglio. Un contrasto che ha scandalizzato pure l?arcivescovo di Messina, Giovanni Marra: «Prima del Ponte, si pensi alla ferrovia». Nell?Italia dei girotondi e degli appelli per la Costituzione, ci voleva un prelato di Santa romana Chiesa per denunciare il mostro che Berlusconi e Lunardi hanno messo in cima alla loro rivoluzione infrastrutturale? E ci voleva uno storico dell?architettura come Cesare De Seta a gridare, su Repubblica del 23 luglio, che «realizzare la più grande opera infrastrutturale del Terzo Millennio è un miraggio megalomane»? Non è che l?ambientalismo abbia temuto di finire in linea di collisione con i sogni di un Paese dove la mega campata fra Scilla e Cariddi sembra assurgere a simbolo dell?amor patrio? Il ponte insostenibile Ermete Realacci, presidente di Legambiente, assicura di no: «Sulle posizioni delle associazioni, la stampa ha steso un velo ampio. L?ultima iniziativa sul Ponte è di poche settimane fa con la presentazione di un libro. E prima aveva manifestato il Messina Social Forum». In effetti, opporsi a questo mito tecnologico del Berlusconi II non richiede particolare audacia concettuale. Quando nel salotto di Bruno Vespa, il futuro premier saettava linee e rosse e blu sulla carta italiana, preconizzando nuove pedemontane, autostrade e il grande Ponte, non forniva i numeri della madre di tutte le opere. Numeri che Realacci assicura di essersi andato a cercare fra i ?pallosi? rapporti degli advisor ufficiali del Comitato internazionale, insediato dal governo Amato. Lì risulta, nero su bianco, «che la quota di finanziamento privato possibile è ridottissima» e che, «se si dovesse ricavare il danaro necessario dalla costruzione da un sistema tariffario, prendere il ponte costerebbe quanto noleggiare un elicottero». Un ponte che, secondo i metereologi dovrebbe essere attraversabile per soli 145 giorni all?anno, rendendone vento e pioggia sconsigliabile l?agibilità per gli altri 215. Aspetto questo che gli advisor avevano messo in evidenza: il volume del traffico che passerà sul Ponte, se mai ci sarà, raggiungerà appena un terzo di quanto sarebbe necessario a coprire i costi. Un?opera antieconomica, insomma. L?occupazione ci perde E anche alla voce ?lavoro?, il mostro ferro-cemento che dovrebbe proiettarsi dalla Calabria alla Sicilia incassa una sonora bocciatura (vedi box a fianco): fra impiegati diretti e indotto, non si bilancia la perdita di occupazione determinata dall?affossamento dei traghetti. Per tacere poi dell?impatto ambientale dell?opera che prevede l?innalzamento di due torri grandi come le defunte Twin Towers a oscurare letteralmente pezzi di costa e a sconvolgere le migrazioni stagionali di diverse specie di uccelli. Poste di un bilancio che riconduce all?arcivescovile evidenza: ma non c?è bisogno di altro in questo pezzo d?Italia? «Oltre alla tragedia idrica», dice oggi a Vita Ermete Realacci, «c?è il problema del trasporto ferroviario, su cui abbiamo prodotto negli anni molti documenti, ma anche quello stradale. E non solo l?arcinoto caso della Salerno-Reggio Calabria, ma il tratto intorno a Cefalù: nell?unica autostrada europea che collega Copenhagen a Mazara del Vallo, c?è questo buco infernale». La lista del presidente di Legambiente si allunga: «Che dire del versante ionico, ferroviario e stradale? Roba ottocentesca. E le ferrovie siciliane interne?Un?opinione: gli orari sono un optional, spesso non sono neppure elettrificate, oltre che a binario unico. Con una quantità minore di investimenti pubblici», conclude, «si risparmierebbe complessivamente molto più tempo di quello guadagnato con l?attraversamento del Ponte». Non si avventura in stime Cesare De Seta nel suo documentato j?accuse contro «il simbolo araldico dell?era berlusconiana». Si limita a segnalare che in Italia, malgrado 8mila chilometri di coste, le autostrade del mare non siano neppure una buona intenzione. Da noi solo il 19% delle merci viene trasferita così, mentre in Europa la percentuale è del 45%. E cita Barcellona, Anversa, Valencia, centri europei che hanno investito in banchine e in porti, decongestionando le strade. Strade sulle quali, negli anni a venire, si scatenerà l?inferno: secondo una stima del Centro tecnica navale il trasporto su gomma è atteso a un aumento del 40% entro il 2010. E l?Italia? «Dismette la Tirrenia e i suoi 90 traghetti», osserva malinconicamente il professore. Che lancia la sua invettiva sul Cavaliere, su Lunardi e soci: «Megalomani». 3.500% Di tanto sono aumentati i volumi di traffico passeggeri per via aerea fra la Sicilia e il Continente. I sostenitori del Ponte sembrano non tenerne conto. Eppure dal 1985 al 2000, i passeggeri trasportati sullo Stretto, sono passati da 11 milioni a 7 milioni. La stessa rotta non è più esclusiva: il 2% del traffico marittimo si è spostato. Oggi d?altra parte, da Palermo a Napoli ci vogliono solo 3 ore e 45 minuti di aliscafo. Al porto del capoluogo siciliano l?affluenza negli ultimi due anni è così cresciuta, che le merci vengono dirottate a Termini Imerese. E anche le previsioni occupazionali sono tutt?altro che rosee. Negli 8 anni di costruzione previsti, lavorerebbero all?opera 2.600 addetti, con un indotto di oltre 9.250 lavoratori, cui si sommano altri 3.400 per i 5 anni successivi. Già, ma dove vanno a finire i 3.400 addetti delle Fs che lavorano ogni giorno sui 13 traghetti. E i 1.500 della Compagnia navale Caronte ? E i 5mila marittimi degli aliscafi? Dubbi anche sui costi dell?opera. Il Consiglio superiore dei lavori pubblici li stima in 4 miliardi di euro (8mila miliardi di lire), ma la Società Stretto, già nel ?91, parlava di 10mila miliardi di lire. In euro fanno 5 miliardi.


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