Mondo

Un bambino, ma che non sia nero

AiBi denuncia le restrizioni razziste scritte nel decreto di idoneità di una coppia a Catania

di Sara De Carli

Niente bambini di pelle scura, o comunque diversa da quella tipica europea. Niente bambini di età superiore ai 5 anni. Niente bambini con ritardo evolutivo. Niente – questo sì – distinzioni di sesso o religione.

È un identikit preciso quello disegnato da una coppia di Catania. Forse è il desiderio legittimo di tanti genitori adottivi. Forse è il desiderio di un impatto più semplice del bambino con una realtà che non è la sua. O quello di un percorso con qualche incognita in meno. Il problema è che il desiderio è stato messo nero su bianco in un decreto di idoneità.

Lo ha fatto il Tribunale per i Minori di Catania, il 12 giugno scorso. La denuncia arriva da AiBi. «È inaccettabile che ancora oggi i Tribunali per i Minorenni emettano decreti di idoneità “razzisti”», tuona Marco Griffini. «Come è possibile discriminare i bambini per il colore della pelle? Abbiamo un Presidente americano di colore, conviviamo con società sempre più multirazziali, l’Africa è diventata la protagonista indiscussa del G8, eppure una coppia di aspiranti genitori adottivi può ancora essere ritenuta idonea seppur non disponibile ad accogliere bambini di colore».

 

Il principio di non discriminazione, sancito tanto nell’ordinamento nazionale che in quello sovranazionale, pare quindi non essere ancora stato riconosciuto dalle autorità competenti. AiBi quindi in data 15 lulgio ha fatto un esposto agfli organi competenti (Consiglio Superiore della Magistratura, Ministero della Giustizia, Dipartimento per la Pari Opportunità, Commissione per le Adozioni internazionali) affinché adottino i provvedimenti più opportuni per combattere tale prassi razzista. L’articolo 1 della legge 149/2001 infatti, che regolamenta le adozioni, dice esplicitamente che «il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i princìpi fondamentali dell’ordinamento».

 

Quello dei decreti di idoneità mirati è in realtà un fenomeno in crescita, per cui la stessa CAI più volte si è detta preoccupata (leggi qui). Nel 2006 i decreti di idoneità “mirati” (cioé in cui si chiede che il bambino sia di un certo paese di provenienza, di una specifica appartenenza etnica, del genere del minore, dello stato di salute, di una particolare età, spesso compresa tra zero e tre anni o più in generale in età prescolare, o alcune indicazioni più o meno specifiche) erano il 15,4% del totale, nel 2007 il 18,2%, nel 2008 il 24,7% (fonte Rapporti statistici CAI).


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA