Una mattinata qualsiasi all’Inps. Famiglie in attesa, con il cuore che batte. Certificati in mano, cartelle piene di documenti fotocopiati. A casa un figlio, un parente, con disabilità grave. A rischio la pensione d’invalidità, l’indennità di accompagnamento. Il rastrellamento è in corso. Operazione condotta con rigore e tenacia applicazione delle direttive ricevute, ma anche consigliate direttamente dall’istituto. Obiettivo: centrare il risparmio sul bilancio pubblico, anzi, magari, superare il target. I falsi invalidi? Che c’entra, quella è roba da magistratura e carabinieri, e poi sono tutti a Napoli e al Sud. Qui al Nord è differente. Basta essere chirurgici. Gli atti quotidiani della vita, l’assoluta necessità di un’assistenza personale notte e giorno. Ecco quello che bisogna scovare.
Un tetraplegico che guida e pretende anche l’indennità di accompagnamento? Che vergogna! Ma ora basta, non ce n’è per nessuno. Colpirne uno per educarne cento. Così ci penseranno i medici, prima di inoltrare la richiesta di pensione di invalidità. Se la scordino. Non ci sono più soldi. È durata anche troppo la pacchia.
Tutti quei disabili che accumulano ogni mese 480 euro più e, se non lavorano, altri 256 di pensione. Ma scherziamo? 736 euro al mese? Quasi la paga di un operaio, per non fare niente. Improduttivi. Un costo. E chissà per quanti anni. Una volta almeno gli handicappati morivano presto. Adesso li curano bene, resistono. E ci tocca dargli anche il respiratore, gli ausili, il trasporto, e chi più ne ha più ne metta. Meno male che c’è l’Inps. Finalmente con le mani libere. Era ora. I genitori anziani si guardano, in sala d’attesa, si scrutano, si confrontano. Cominciano a sospettare uno dell’altro. Oppure solidarizzano, si sfogano, piangono e urlano. Chi ha scritto questo articolo? Nessuno. È una mia libera interpretazione, mettendo insieme le voci dei fantasmi. I cittadini con disabilità e i loro familiari.
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