Mondo

Un appello a Sharon. La rivolta dei pap

Sono i genitori dei ragazzi uccisi sui due fronti. Hanno fatto un’associazione. E aperto un sito. Per chiedere che le parti si parlino. E il massacro finisca

di Redazione

Una foto di giovani corpi senza vita fra i vetri del Moment Café di Gerusalemme distrutto da un attentatore suicida il 9 marzo. E poi una frase, in rosso, rivolta al premier israeliano Ariel Sharon: «Cosa deve succedere ancora perché ti decida a negoziare?». Il tentativo, sempre più difficile, di riportare la pace in Medio Oriente passa anche da questo messaggio che l?11 marzo è stato pubblicato a tutta pagina da numerosi giornali israeliani e palestinesi. Firmato dal Parents Circle Families Forum, un?associazione che riunisce 350 genitori israeliani e palestinesi divisi dalla nazionalità ma uniti dal dolore di aver perso un figlio nell?Intifada. «Smettete di sparare, cominciate a parlare!», spiegano questi genitori ai rispettivi governi incapaci di comprendere le ragioni dell?altro. Come hanno saputo fare loro: papà e mamme di ragazzi morti durante gli attentati ma anche dei giovani kamikaze che da anni per la causa si trasformano in attentatori. A Yitzhak Frankerenthal, il 50enne israeliano che nel 1994 ha fondato l?associazione dopo la morte del figlio di 19 anni, come muoiano i ragazzi non importa. «Sono comunque vittime della guerra. I nostri cari sono morti perché non c?è la pace», spiega. La sua ricetta per fermare la guerra è semplice: «Se noi che abbiamo perso un figlio possiamo incontrarci, pensando alla pace invece che alla vendetta, tutti possono farlo». Ma applicarla diventa sempre più difficile: quando non sono i proiettili a impedirti di varcare la striscia di Gaza in un senso o nell?altro, ci pensano le rispettive comunità. «Ho ricevuto telefonate di minaccia a causa dei miei contatti con Israele, mi accusavano di essere un traditore», ha confessato Adib Mahana, palestinese, in un?intervista al Los Angeles Times. Ma Adib, proprio come Yitzah, rimane convinto che il dialogo sia l?unica soluzione. Traditori, sognatori, idealisti? Niente di tutto questo, spiega Yitzah nel sito Internet www.theparentscircle.com che ha lanciato per diffondere il suo messaggio di pace: «Non amo i palestinesi, hanno ucciso mio figlio. Ma li rispetto come persone con la stessa dignità e diritto di vivere di un israeliano». Le reazioni di Sharon e Arafat? Scarse, per il momento. Dei Parents si è invece accorto l?Onu: il 22 marzo una ventina di famiglie israeliane e palestinesi sono volate a New York per rendere onore alle vittime dell?Intifada e dare lezioni di diplomazia ai politici del Palazzo di vetro. Verranno ascoltati? è presto per dirlo, ma una cosa è certa: quest?associazione di mamme e papà che ogni giorno vivono sulla propria pelle il peso dell?Intifada, non smetterà di lottare per la pace. Perché la mancanza di dialogo fra Arafat e Sharon ha già fatto troppe vittime. E soprattutto perché, come spiega Yitzah, «niente può essere peggio che seppellire il proprio figlio primogenito».


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