Politica

Un anno per aprirci agli altri

di Franco Bomprezzi

Ha ragione Riccardo Bonacina nel suo bel post di riflessioni natalizie: dobbiamo ricominciare e in qualche modo prendere il Paese in mano. Ognuno di noi nel proprio piccolo o grande, senza gelosie, con spirito curioso e costruttivo. Altrimenti non ne usciamo, anzi. Tiro le somme di dodici mesi e non sono insoddisfatto di me stesso, eppure se guardo i risultati del mio impegno, personale e professionale, potrei avere molte ottime ragioni per mollare, per cercare un “buen retiro”, per scrivere di cose futili e leggere, per accarezzare il mio splendido gatto e sorridere alla mia compagna guardando un bel film.

Forse il segreto sta nel mezzo, come quasi sempre. Dobbiamo tutti cercare di vivere bene la nostra esistenza personale, regalandoci momenti di lucida serenità, autentici serbatoi di energie morali e fisiche. Guai a rinunciare al privato, alla sfera delicata dei sentimenti e degli interessi coltivati senza alcun tornaconto di mestiere. I pensieri migliori (almeno mi pare) mi sono pervenuti solo quando sono riuscito a staccare la spina, a recuperare una dimensione meno esposta ai venti di un mondo costantemente inquieto e, spesso, rissoso.

Ma è fondamentale anche espandere la nostra curiosità, uscendo dalle competenze per le quali ci sentiamo preparati e autorevoli. Mi pare che nel mondo che condividiamo, in modo diseguale per età, provenienza, formazione sociale e culturale, nella splendida pagina dei bloggers di Vita, ci sia bisogno non solo di scrivere, ma soprattutto di leggere, di ascoltare, di imparare, di condividere, di sedimentare, di sperimentare, di “collazionare” frammenti di sapere che sono solo apparentemente sconnessi e frammentati, e invece appartengono a un disegno comune di convivenza civile con gli ideali della solidarietà attiva.

Scrivo prevalentemente attorno alla disabilità, ma come potrei immaginare gradevole un mondo che non sia anche sostenibile dal punto di vista ambientale? E come potrebbero gli esperti di cooperazione sociale ipotizzare un ruolo che sia semplicemente autoreferenziale, o mirante prima di ogni altra cosa al reddito d’impresa, trascurando il tema fondamentale della piena inclusione sociale delle persone, disabili o non disabili? Perché non dovrei interessarmi anche al ruolo delle giovani generazioni nella fase del cambiamento? O alle questioni di genere? O al destino di chi vive in questo Paese avendo origini diverse?

C’è un bisogno assoluto di costruire una rete che non sia la somma di sigle e di entità organizzate (dove inevitabilmente prevalgono i più grossi) ma che diventi un laboratorio delle competenze condivise, che poi serviranno per elaborare strategie vincenti, parole d’ordine, obiettivi concreti e ripetibili, modelli di progettazione sociale economicamente sostenibili e vincenti, emulazione senza gelosie né invidie. Una piattaforma del meglio. Il mondo che vorremmo, senza essere Don Chisciotte, ma neppure miseri mercanti di elemosine.

Ce la possiamo fare. Buon anno, amici. Andiamo avanti.

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