Mondo

Un anno dopo. Visto da un filosofo. Sento l’eco di Babele

Silvano Petrosino per racontare il mondo in cui viviamo ha fatto ricorso al celebre racconto della Bibbia. E ne ha ricavato un libro affascinante.

di Riccardo Bonacina

Silvano Petrosino è filosofo gettonatissimo tra i giovani. All?Università Cattolicadi Milano le sue lezioni di filosofia e di semiotica sono tra le più seguite. Basta scorrere i titoli dei suoi libri per capire come Petrosino stia tessendo un pensiero diverso dal pensiero unico oggi di moda in Occidente: si va dalla Verità nomade a Visione e desiderio, da La legge del possibile a Il dono. L?ultima sua fatica è Babele, filosofia e linguaggio di un delirio (ed. Il Melangolo, euro 16). Centoquaranta pagine dedicate a capire quale sia stato, e quale sia, il delirio di Babele, un libro a commento di 9 versetti del libro della Genesi e intorno a due splendide pagine del Midrash ebraico.
Qui a Vita il libro ci ha talmente appassionato che abbiamo invitato il suo autore in redazione. Per capire di più perché Petrosino senta oggi risuonare quel delirio e, come scrive nell?ultimo capitolo: “Non c?è alternativa, si ripete: bisogna salvaguardare la pace, e per far questo bisogna ridurre il mondo alla ragione, imporre la democrazia, garantire la sicurezza e soprattutto sviluppare l?economia. Ora, ecco la voce del delirio, per aiutare l?economia bisogna incrementare i consumi. è necessario consumare: non si ha più il tempo di pensare a ciò che si dice, non ci si vergogna più di ciò che si dice e, ancora una volta, inevitabilmente, si confondono le cause con gli effetti”.
Vita: Professore, che cosa c?entra Babele con quello che il mondo oggi sta vivendo?
Silvano Petrosino: Il consumo, la sicurezza, anche l?idea di pace universale: sono tutte tentazioni idolatriche che si rinnovano. Risento il grido babelico e la tentazione idolatrica di Babele in questo invito reiterato a consumare per aiutare l?economia. L?uomo è quindi di nuovo piegato al servizio della costruzione, dell?idolo, perché l?idolo deve stare in piedi. Ma questo provocherà disastri inenarrabili. Non so dove stiamo andando ma, storicamente, è sempre stato così, la distrazione verso il vicino che ha bisogno provoca sempre disastri. Come nella città di Babele sembrano non essere tollerati né rallentamenti né defezioni.
Vita: Che cosa intende per tentazione idolatrica?
Petrosino: Il racconto di Babele contenuto nel Genesi ci racconta di tre atti antropologicamente fondamentali: gli uomini di Babele sono chiamati a raccogliersi, a costruire e a farsi un nome. Non c?è nulla di malvagio in quei tre atti, che rappresenta un?esaltazione dell?umano. Eppure andando avanti nel racconto, la costruzione prende il sopravvento. Alla fine gli uomini realizzano un passaggio, anche psicologicamente tremendo, che li porta dalla centralità del costruttore a quella della costruzione. Ecco la struttura idolatrica. Una struttura in cui la costruzione assume un valore che è indipendente da colui che la fa. Gli uomini sono presi da un delirio proprio nel gesto più spiccatamente umano che è il costruire. Così alla fine la costruzione si rivolta contro i costruttori: è emblematico l?episodio della donna incinta che partorisce e poi si mette subito a lavorare, senza prestare nessuna attenzione al nuovo uomo.
Vita: E qual è l?antidoto a questa idolatria?
Petrosino: Nel Midrash si arriva a una soluzione che trovo grandiosa: “Costringiamoli a pensare”, dice Dio. La prima e più banale interpretazione dell?episodio di Babele suggeriva un Dio innervosito dalla presunzione dell?uomo e che per riaffermare la sua onnipotenza, seminava la confusione delle lingue. Ma già Dante era andato oltre questa interpretazione: il disordine delle lingue, ci dice, riguarda proprio la parola che serve a costruire. L?architetto dice una cosa e l?operaio ne capisce un?altra. Così la costruzione va in tilt. La seconda indicazione che ci arriva da Babele è questa: il no di Dio non è nella forma della negazione. Nel dir no Dio ti sta dicendo un sì.
Vita: Qual è questo sì?
Petrosino: Il sì che Dio dice nell?episodio di Babele è che l?unità tra gli uomini non è data da un codice universale (tanto per fare un esempio: impresa, informatica e inglese). L?unità non è garantita da un?unica lingua, ma dal confronto e dal lavoro dell?interpretazione. Il confondere è per riaffermare la pluralità, i babelici fanno l?errore di cercare l?unità in una lingua unica. La Pentecoste, raccontata dai Vangeli, è il contrario di Babele: la lingua dell?Unico non è mai un?unica lingua, ma una pluralità di linguaggi, che si riferiscono tutti, ultimamente, al Mistero.
Vita: Per venire all?oggi, che lezione si deve trarne?
Petrosino: Dio non dà il pensiero ai babelici, li invita a riprendere a pensare. Loro non pensavano più, non perché fossero cattivi, ma perché lentamente la costruzione aveva preso la mano. I totalitarismi seri, Stalin, Hitler, Pol Pot cosa vogliono? Non la villa al mare, o il conto in Svizzera, ma la costruzione della città, la torre, la società migliore, lo stato etico, il paradiso in terra, la costruzione seria, mica la macchina veloce, più la costruzione è seria più ti prende la mano. Io ho sentito il delirio di Babele in quell?”imponiamo la democrazia”. Ma come puoi dire “imponiamo”? Come puoi dire “ti costringo al bene”? Il rischio dell?idolatria è continuo e ineliminabile. Costruisci in base al tuo progetto, ti fai un?idea di società, di casa, di città. Ma sappiamo che alla fine questo progetto deve lasciare spazio a colui che vive, e questo obbliga a un continuo rifare. Non può essere un progetto totale, è un continuo rifare. è l?idolatria del progetto che lo trasforma in delirio.
Vita: Un rischio che corre anche l?idea di pace?
Petrosino: La costruzione del bene sembra giustificare tutto. L?idolatra è colui che pone l?obiettivo come priorità assoluta. E rimanda il desiderio a un dopo. La morale del potere è: “Per i desideri ripassate dopo, che il lavoro non si fermi”. Rinunciare al proprio desiderio per costruire il bene è peccato mortale. La costruzione del bene o è la forma del compimento della realizzazione di te e delle persone che ti stanno vicine, o è castrazione. Come avete scritto voi, “Se vuoi la pace, prepara la pace”. La pace non è un fine, è un metodo.

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