Welfare

Un anno di carcere per Sofri, Bompressi e Pietrostefani

Lettera in difesa di Sofri, Bompressi e Pietrostefani

di Cristina Giudici

A un anno dalla carcerazione di Sofri, Pietrostefani e Bompressi, avvenuta il 24 gennaio scorso in modo eroico e rovambolesco(Pietrostefani è arrivato direttamente dal cielo, abbandonando il suolo francese, Bompressi è arrivato a Pisa discretamente per andare volontariamente a bussare alle porte del carcere Don Bosco, mentre a Sofri è toccato l’onore e l’onere delle telecamere), e a pochi giorni dal rifiuto della Procura di Milano di accogliere l’istanza della revisione del processo Calabresi, sono andata a solleticare l’archivio del nostro giornale e lui, che generalmente si inceppa o si dimentica di fornirci la data esatta degli articoli, questa volta ha risposto prontamente alla parola chiave Sofri: decine di articoli, notizie, brevi citazioni, lettere che, nel corso dell’anno, direttamente o indirettamente parlano della loro vicenda giudiziaria, delle “opere di bene” in Bosnia o in Cecenia o della loro detenzione. Sì, perchè il nostro giornale ha voluto accompagnare, in qualche modo, le “loro prigioni” e, arrivando in edicola il giorno del primo nefasto anniversario, non potevamo che dedicare “Lettere dal Carcere” a Adriano e ai suoi discreti compagni, Pietrostefani e Bompressi.
Iniziando con l’editoriale del primo febbraio ’97 “Ad Adriano Sofri noi dobbiamo soltanto la Vita”, dove è stata ospitata la lettera di Sandro Pocaterra e Giuseppe Valenti, due volontari dell’InterSos, sequestrati dagli indipendentisti ceceni per 64 giorni e liberati in seguito alla “mediazione” di Sofri. “A Sofri dobbiamo semplicemente la vita”avevano scritto. “Mai avremmo potuto immaginare tutto quello che ha fatto per noi, per la nostra salvezza(…)non entriamo nel merito della vicenda giudiziaria, però, sinceramente, non possiamo credere che Adriano Sofri possa aver fatto delmalòe a un altro essere umano”. Da allora, “Vita”non li ha mai abbandonati. Li abbiamo seguiti attraverso gli occhi deglia altri e, quando è stato possibile, siamo andati a trovarli. Li abbiamo visti, agli inizi, quando il carcere di Pisa era ancora, nelle parole di Sofri, “un luogo scemo” e a stento sopportava l’arrivo delle telecamere sulle tracce dei “detenuti illustri”. Abbiamo cercato di comprendere il silenzio di Ovidio, sordo e rabbioso; lui che sembrava uscito più dallo “Straniero” di Camus che da una contorta vicenda giudiziaria e politica. Inseguendo sempre il loro sguardo, mentre si tramutava in una microspia vivente e denunciava il sistema penitenziario.
Con loro abbiamo ritrovato un carcere diverso, cresciuto, più consapevole, che, costretto ad aprire le porte alla società, ha iniziato a cigolare. Assistendo alle note di un concerto notturno in cui gli amici e gli amici degli amici hanno voluto regalare una notte stellata a Sofri, ai suoi compagni e a tutti i detenuti del carcere pisano, l’estate scorsa.
Abbiamo “strumentalizzato” le loro proteste per parlare a voce alta del carcere, e delle onde sotterranee che vanno e vengono, cercando di raccoglierne le voci, anche se solo sussurrate.
Pietrostefani ci ha detto:”Il carcere è il regno dell’assoluta discrezionalità. Una discrezionalità pesante, sbagliata cui si sottopongono soggetti sotto osservazione continua. la battitura delle sbarre e il frastuono due volte al giorno, i permessi, le domandine. Da dirigente d’azienda quale sono, mi colpisce lo spreco di risorse, tutti vengono impeganti per molte ore al giorno in attività completamente inutili, quelle della sorveglianza o della sicurezza. Per il resto è il vuoto a perdere, perdere il tempo, gli psicologi fanno due ore al mese, gli educatori – hanno il coraggio di chiamarli così – sbrigano qualche pratica e ai detenuti tossicodipendenti prescrivendo metadone o qualche psicofarmaco”.
Ed è stato ancora Sofri a rilanciare, chiedendo un’amnistia per i detenuti comuni, quando nello scorso ottobre ci ha detto :>.
Dalle colonne del nostro giornale è partito anche un piccolo giallo sul destino dei tre: all’ironica domanda sull’imminente sciopero della fame, Sofri aveva risposto: >. E per soddisfare la brama dei quotidiani aveva avuto bisogno difare un’errata corrige nella su arubrica “Piccola Posta” scrivendo: >.
ma di loro, mi rimane soprattutto il ricordo del primo incontro, nel parlatoio del carcere Don Bosco. La gaia ironia di Adriano, il tenero silenzio di Ovidio e la dignitosa compostezza di Pietrostefani. Ora che la parola sul loro destino è passata alla Corte d’appello di Milano, non ci resta che fare loro gli auguri. Auguri, perchè oggi è il vostro compleanno e non vogliamo dimenticarcene.

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