Cultura
Un anno con Francesco. Il papa che ha a cuore i poveri
Per l’anniversario dell’elezione di Bergoglio, proponiamo un’antologia del suo pensiero sulla povertà e l’ingiustizia economica. Un pensiero che non rimane mai teoria…
La Chiesa deve farsi povera tra i poveri. È il cuore del “programma” di Papa Francesco. Un programma che non è rimasto sulla carta ma che si è declinato in scelte e in parole sempre molto precise.
Quella che segue è un’antologia di brani tratti dai discorsi di papa Francesco sul tema della giustizia economica e della povertà.
La povertà non diventi un’astrazione
Non si può parlare di povertà, di povertà astratta, quella non esiste! La povertà è la carne di Gesù povero, in quel bambino che ha fame, in quello che è ammalato, in quelle strutture sociali che sono ingiuste. Andate, guardate là la carne di Gesù…. La povertà ci chiama a seminare speranza, per avere anch'io più speranza. Questo sembra un po' difficile da capire, ma ricordo che Padre Arrupe una volta parlava di come si deve studiare il problema sociale e diceva: Non si può parlare di povertà senza avere l'esperienza con i poveri.
Agli studenti delle scuole dei Gesuiti, Roma xx giugno 2013
Il grido dei poveri
Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo. È sufficiente scorrere le Scritture per scoprire come il Padre buono desidera ascoltare il grido dei poveri: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo … Perciò va’! Io ti mando» (Es 3,7-8.10), e si mostra sollecito verso le sue necessità: «Poi [gli israeliti] gridarono al Signore ed egli fece sorgere per loro un salvatore» (Gdc 3,15). Rimanere sordi a quel grido, quando noi siamo gli strumenti di Dio per ascoltare il povero, ci pone fuori dalla volontà del Padre e dal suo progetto, perché quel povero «griderebbe al Signore contro di te e un peccato sarebbe su di te» (Dt 15,9). E la mancanza di solidarietà verso le sue necessità influisce direttamente sul nostro rapporto con Dio: «Se egli ti maledice nell’amarezza del cuore, il suo creatore ne esaudirà la preghiera» (Sir 4,6). Ritorna sempre la vecchia domanda: «Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?» (1 Gv 3,17). Ricordiamo anche con quanta convinzione l’Apostolo Giacomo riprendeva l’immagine del grido degli oppressi: «Il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente» (5,4).
Esortazione apostolica Evangelii Gaudium
Quel bicchiere che non è mai pieno
L'ideologia marxista è sbagliata. Ma nella mia vita ho conosciuto tanti marxisti buoni come persone, e per questo non mi sento offeso… Nell'esortazione non c'è nulla che non si ritrovi nella Dottrina sociale della Chiesa. Non ho parlato da un punto di vista tecnico, ho cercato di presentare una fotografia di quanto accade. L'unica citazione specifica è stata per le teorie della “ricaduta favorevole”, secondo le quali ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. C'era la promessa che quando il bicchiere fosse stato pieno, sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato. Accade invece che quando è colmo, il bicchiere magicamente s'ingrandisce, e così non esce mai niente per i poveri. Questo è stato l'unico riferimento a una teoria specifica. Ripeto, non ho parlato da tecnico, ma secondo la dottrina sociale della Chiesa. E questo non significa essere marxista».
Intervista alla Stampa 15 dicembre
La distanza tra ricchi e poveri
Oggi viviamo in un mondo che sta diventando sempre più “piccolo” e dove, quindi, sembrerebbe essere facile farsi prossimi gli uni agli altri. Gli sviluppi dei trasporti e delle tecnologie di comunicazione ci stanno avvicinando, connettendoci sempre di più, e la globalizzazione ci fa interdipendenti. Tuttavia all’interno dell’umanità permangono divisioni, a volte molto marcate. A livello globale vediamo la scandalosa distanza tra il lusso dei più ricchi e la miseria dei più poveri. Spesso basta andare in giro per le strade di una città per vedere il contrasto tra la gente che vive sui marciapiedi e le luci sfavillanti dei negozi. Ci siamo talmente abituati a tutto ciò che non ci colpisce più. Il mondo soffre di molteplici forme di esclusione, emarginazione e povertà; come pure di conflitti in cui si mescolano cause economiche, politiche, ideologiche e, purtroppo, anche religiose.
Messaggio giornata comunicazioni sociali
A proposito dell’elemosina
La cosa importante non è guardarli da lontano o aiutarli da lontano. No, no! È andare loro incontro. Questo è cristiano! Questo è ciò che insegna Gesù: andare incontro ai più bisognosi. Come Gesù che andava sempre incontro alla gente. Egli andava ad incontrarla. Andare incontro ai più bisognosi.
A volte, io domando a qualcuno:
"Lei fa l’elemosina?".
Mi dicono: "Sì, padre".
"E quando Lei fa l’elemosina, guarda negli occhi la gente a cui fa l’elemosina?"
"Ah, non so, non me ne accorgo".
"Allora Lei non ha incontrato la gente. Lei ha gettato l’elemosina ed è andato via. Quando Lei fa l’elemosina, tocca la mano o getta la moneta?"
"No, getto la moneta".
"E allora non lo hai toccato. E se non lo hai toccato, non lo hai incontrato".
Ciò che Gesù ci insegna, innanzitutto, è incontrarsi e, incontrando, aiutare. Dobbiamo saperci incontrare. Dobbiamo edificare, creare, costruire una cultura dell’incontro.
(videomessaggio ai fedeli argentini per la festa di San Caetano, 7 agosto 2013)
La cultura dello scarto
In molti ambienti, e in generale in questo umanesimo economicista che ci è stato imposto nel mondo, si è fatta strada una cultura dell’esclusione, una “cultura dello scarto”. Non c'è posto né per l’anziano né per il figlio non voluto; non c’è tempo per fermarsi con quel povero nella strada. A volte sembra che per alcuni, i rapporti umani siano regolati da due “dogmi” moderni: efficienza e pragmatismo. Avere il coraggio! Ricordate una cosa, a me questo fa molto bene e lo medito frequentemente: prendete il Primo Libro dei Maccabei, ricordate quando molti, non i Maccabei, vollero adeguarsi alla cultura dell’epoca: “No…! Lasciamo, no…! Mangiamo di tutto, come tutta la gente… Bene, la Legge sì, ma che non sia tanto…”. E finirono per lasciare la fede per mettersi nella corrente di questa cultura. Abbiate il coraggio di andare controcorrente a questa cultura efficientista, a questa cultura dello scarto. L’incontro e l’accoglienza di tutti, la solidarietà – una parola che si sta nascondendo in questa cultura, quasi fosse una cattiva parola -, la solidarietà e la fraternità, sono elementi che rendono la nostra civiltà veramente umana.
Messa con i vescovi brasiliani, Rio, 27 luglio
Imparare dai poveri
I poveri non sono soltanto persone alle quali possiamo dare qualcosa. Anche loro hanno tanto da offrirci, da insegnarci. Abbiamo tanto da imparare dalla saggezza dei poveri! Pensate che un santo del secolo XVIII, Benedetto Giuseppe Labre, il quale dormiva per strada a Roma e viveva delle offerte della gente, era diventato consigliere spirituale di tante persone, tra cui anche nobili e prelati. In un certo senso i poveri sono come maestri per noi. Ci insegnano che una persona non vale per quanto possiede, per quanto ha sul conto in banca. Un povero, una persona priva di beni materiali, conserva sempre la sua dignità. I poveri possono insegnarci tanto anche sull’umiltà e la fiducia in Dio. Nella parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14), Gesù presenta quest’ultimo come modello perché è umile e si riconosce peccatore. Anche la vedova che getta due piccole monete nel tesoro del tempio è esempio della generosità di chi, anche avendo poco o nulla, dona tutto (Lc 21,1-4).
Messaggio per la GMG 2016 di Cracovia
L’indifferenza svuota la vita
La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per completare un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale. Quante parole sono diventate scomode per questo sistema! Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia. Altre volte accade che queste parole diventino oggetto di una manipolazione opportunista che le disonora. La comoda indifferenza di fronte a queste questioni svuota la nostra vita e le nostre parole di ogni significato. La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo.
Esortazione apostolica Evangelii Gaudium
Il mondo come casa comune
L’economia, come indica la stessa parola, dovrebbe essere l’arte di raggiungere un’adeguata amministrazione della casa comune, che è il mondo intero. Ogni azione economica di una certa portata, messa in atto in una parte del pianeta, si ripercuote sul tutto; perciò nessun governo può agire al di fuori di una comune responsabilità. Di fatto, diventa sempre più difficile individuare soluzioni a livello locale per le enormi contraddizioni globali, per cui la politica locale si riempie di problemi da risolvere. Se realmente vogliamo raggiungere una sana economia mondiale, c’è bisogno in questa fase storica di un modo più efficiente di interazione che, fatta salva la sovranità delle nazioni, assicuri il benessere economico di tutti i Paesi e non solo di pochi.
Esortazione apostolica Evangelii Gaudium
La globalizzazione dell’indifferenza
… oggi abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!
Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto.
«Adamo dove sei?», «Dov’è il tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?», Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere! Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo. «Chi ha pianto?». Chi ha pianto oggi nel mondo?»
Lampedusa, 8 luglio 2013
Non aver paura di entrare nella notte
Il fatto è che oggi ci sono molti che sono come i due discepoli di Emmaus; non solo coloro che cercano risposte nei nuovi e diffusi gruppi religiosi, ma anche coloro che sembrano ormai senza Dio sia nella teoria che nella pratica.
Di fronte a questa situazione che cosa fare?
Serve una Chiesa che non abbia paura di entrare nella loro notte. Serve una Chiesa capace di incontrarli nella loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione. Serve una Chiesa che sappia dialogare con quei discepoli, i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso.
La globalizzazione implacabile e l'intensa urbanizzazione spesso selvagge, hanno promesso molto. Tanti si sono innamorati delle loro potenzialità e in essa c’è qualcosa di veramente positivo, come, per esempio, la diminuzione delle distanze, l’avvicinamento tra le persone e le culture, la diffusione dell’informazione e dei servizi. Ma, dall’altro lato, molti vivevano i loro effetti negativi senza rendersi conto di come essi pregiudicano la propria visione dell’uomo e del mondo, generando maggiore disorientamento, e un vuoto che non riescono a spiegare. Alcuni di questi effetti sono la confusione circa il senso della vita, la disintegrazione personale, la perdita dell’esperienza di appartenere a un “nido”, la mancanza di un luogo e di legami profondi. …
Davanti a questo panorama, serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è gente che si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio. Gesù diede calore al cuore dei discepoli di Emmaus.
Incontro con l’episcopato brasiliano, Rio, 27 luglio
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