Mondo

Un anno all’inferno

Ha vissuto per mesi a Mambasa, sulla linea del fronte. Nella tenaglia tra le varie bande.

di Benedetta Verrini

“La paura che ho avuto in questi mesi non l?ho mai provata in vita mia”, dice padre Silvano. Impressiona uno sfogo come questo, pronunciato da uno che al Congo ha dedicato gli ultimi 33 anni. Silvano Ruaro, missionario dehoniano, in queste settimane è a Milano, ospite dei confratelli per un periodo di riposo. Ma con i pensieri è sempre là, in Congo, nella sua Mambasa. “Allora, facciamo un conto: 7mila profughi, 300 grammi di riso per ciascuno. Vuol dire che servono 21 sacchi di riso al giorno”. Ha appena saputo che si combatte ancora a Komanda, a 97 chilometri di distanza dalla sua missione. “Pensate con che animo vive la gente di là, pensando che i ribelli potrebbero arrivare e devastare di nuovo ogni cosa”. Quali ribelli, ormai non conta quasi più. La piccola città dove si trova la missione di padre Silvano, appena a nord del fiume Ituri, è un?estremità di quell?area grondante sangue che si trova tra Bunia, Beni e Butembo. è stata per mesi la linea del fronte, schiacciata tra le truppe ribelli di Jean Pierre Bemba contro quelle di Mbusa Nyamwisi, oggi minacciata dall?avanzata prepotente dell?Upc di Thomas Lubanga e dell?Rcd-Goma, al soldo del Ruanda. “All?inizio dell?emergenza ricordo di aver chiamato mia sorella Graziella, per dirle che non ce la facevo più, che sarei tornato”, prosegue. “Ogni giorno mi dicevo: domani parto. E poi, alla fine, sono rimasto per tutti questi mesi”. Vita: E’ quasi un anno che la sua missione si trova nell?occhio del ciclone. Silvano Ruaro: Dall?agosto scorso, quando sono iniziati ad arrivare centinaia di rifugiati. Non volevano solo pane, acqua, fagioli, qualche coperta. Volevano raccontare. Cose tremende. Ne ascoltavo due o tre, poi chiudevo la porta e crollavo. Quando sentivo di aver recuperato, ricominciavo ad ascoltare. Sono stato il primo a inviare un messaggio ufficiale all?Onu di Kisangani, con le testimonianze delle violenze subite da questa gente. Teste infilzate sui pali, cadaveri gettati nelle latrine, intere famiglie chiuse nelle capanne e bruciate vive. Vita: E cannibalismo. Ruaro: Non mi faccia parlare di cannibalismo, per favore. è bastato parlare di questo per avere l?attenzione morbosa dei media. E tutto quello che è successo prima? Tutte le violenze orrende sulle donne, le rapine, le uccisioni, vi sembrano normali? Quando Mambasa ha subìto il secondo attacco delle truppe di Bemba, alle undici della notte, una notte senza luna, tutta la popolazione è fuggita in massa verso sud. La strada nella foresta, larga circa 3 metri, il giorno dopo era diventata larga 12 metri, spianata dalla fiumana terrorizzata. Gli episodi di cannibalismo sono gravi, ma non quanto il modo in cui questa gente viene quotidianamente ignorata e calpestata nella sua dignità. Ma forse è più facile raccontare di una guerra civile tra selvaggi che si mangiano tra loro, piuttosto che svelare gli interessi internazionali attorno al Congo. Vita: Per esempio? Ruaro: Quando il 3 agosto 1998 l?Uganda e il Ruanda hanno invaso il Congo, nessuno, a livello internazionale, ha detto nulla. Da allora la guerra si trascina, etichettata come guerra civile, ma sponsorizzata da questi due Stati che alimentano i ribelli con armi in cambio di concessioni per i giacimenti della zona dei laghi. Enormi riserve di petrolio nascoste sotto la zona del riff, e poi diamanti, coltan. Il Ruanda l?anno scorso ne è stato il secondo esportatore mondiale: eppure nelle sue terre non si trova un solo grammo di coltan. Il legno del Congo, sul mercato di Kampala, in Uganda, adesso costa il 50% in meno. Nessuno si stupisce di queste clamorose razzie, perché il Ruanda è fortemente sostenuto dall?Inghilterra, e l?Uganda dagli Stati Uniti. Le società americane, dal canto loro, vanno a fare l?estrazione di coltan persino nei Parchi nazionali, l?ho saputo dagli amministratori locali, che non sanno come impedirglielo. Vita: E adesso, attraverso le truppe ribelli dell?Rcd-Goma, il Ruanda sta cercando di risalire verso Beni e Butembo? Ruaro: è vero. Questa mossa me l?avevano già anticipata mesi fa, in ambienti diplomatici. Mi hanno raccontato che c?era un tacito accordo tra Inghilterra e Usa perché questi ultimi “chiudessero un occhio” di fronte all?avanzata. La ministra Clare Short, che tanto si è stracciata le vesti per il conflitto iracheno, sembra molto meno sensibile alla sorte della popolazione congolese. Vita: In concomitanza con la guerra in Iraq, il Papa ha ricordato spesso i conflitti africani, e in particolare il Congo. Ruaro: è stato senz?altro utile, ma credo che servirebbe qualcosa di ben più forte. Se in questa situazione fosse giunto sul posto un rappresentante del Santo Padre, anche solo per vedere i profughi? Bisogna squarciare le ipocrisie e smetterla di parlare soltanto dei signori della guerra locali. è ora di dire chi c?è dietro, e farli smettere. Vita: Con quali strumenti? Ruaro: Prima di tutto, bisogna impedire la vendita di armi. Kalashnikov, mortai, fucili arrivano attraverso i laghi e con gli elicotteri. Uno dei miei studenti, un ragazzino di 14 anni, è stato rapito dalle truppe di Bemba durante l?attacco di ottobre a Mambasa. Poi mi ha raccontato che era stato costretto dai soldati a portare tutte le cose di valore al quartier generale di Isiro, e di aver visto elicotteri ucraini carichi di casse di mitra, che ripartivano con il bottino della missione. Vita: Lei è nel mirino delle truppe di Bemba per tutte queste denunce? Ruaro: Più o meno, me l?hanno giurata. Ho contribuito al lavoro di indagine confluito nel primo rapporto Onu relativo alle violenze dei mesi scorsi. Il dossier, 21 pagine di testimonianze, conclude che Bemba dovrebbe essere deferito al Tribunale penale internazionale dell?Aja. Ma come si fa? Oggi è uno dei 4 vicepresidenti di Kabila, nel governo di transizione che dovrebbe condurre il Paese a regolari elezioni. Vita: E la presenza del contingente internazionale guidato dalla Francia? Ruaro: Chiaro che Francia e Belgio non vogliono perdere il controllo del territorio e che avranno degli interessi. Ma al momento, con tutta questa violenza che impera, gli osservatori sono visti quasi come degli angeli custodi. A Mambasa ve ne sono quattro, e la loro presenza per ora ha garantito un cessate il fuoco. La scuola è ripartita il 10 marzo. Abbiamo garantito uno stipendio di 25 dollari al mese a tutti gli insegnanti, perché le famiglie non potevano pagarli, e circa 9mila studenti potranno terminare l?anno in una situazione di apparente normalità. Vita: Come vede il futuro di questo Paese, padre Silvano? Ruaro: Con un cambio di rotta della comunità internazionale, si potrebbe tornare alla pace. La popolazione ha una forza inimmaginabile. Ma so che gli interessi in gioco sono enormi e avverto silenzi davvero imbarazzanti. Invece, questo è il momento di sensibilizzare l?opinione pubblica, di tenere i riflettori puntati. Mambasa è una piccola finestra su quello che succede ovunque in Africa.


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