Mondo

Un anno a Ovest. Sergio Romano. La paura fa male a tutti

Spiega l’ex ambasciatore, conservatore convinto: "La globalizzazione quest’anno ha subito un colpo d’arresto. Soprattutto da parte degli Stati Uniti".

di Riccardo Bonacina

Sono un testimone generalmente prudente e scettico», così Sergio Romano spiega il suo ?neutralismo e trasversalismo?, il fastidio che oppone a chiunque gli chieda «Ma da che parte sta?». Memorie di un conservatore, si intitola così il suo libro da poco uscito per Longanesi, pagine piene di giudizi mediamente più spregiudicati e liberi di quelli cui ci hanno abituato i suoi colleghi editorialisti. Giudizi che gli hanno meritato la qualifica di conservatore spregiudicato. A lui, testimone prudente e scettico, abbiamo chiesto cosa rimanga delle speranze che avevano preceduto il G8 di Genova un anno fa. Sergio Romano: Credo che fosse sbagliato attendersi dal G8 tutto questo. Un errore di prospettiva commesso sia dai paladini del G8 che dagli oppositori. Il G8 è semplicemente il luogo in cui le maggiori potenze industriali si scambiano opinioni, si danno reciprocamente un?idea di come percepiscono i problemi del mondo e ciascuno va a casa sapendo grosso modo ciò che gli altri si accingono a fare. Se poi succede qualcosa che nessuno aveva previsto, i piani saltano. E quelli più generici finiscono per essere messi nel cassetto. Non dimentichiamo che dopo il luglio dello scorso anno è successo letteralmente di tutto. Non solo l?11 settembre, l?attacco all?Afghanistan il 7 ottobre, la creazione di una grande coalizione che a Genova lo scorso anno non era nemmeno simbolicamente rappresentata. Vita: I cambiamenti appartengono agli stili di vita e non sono da richiedere agli otto leader. È d?accordo? Romano: Certo, mi sembra una considerazione di buon senso. Credo che ciò che accadde a Genova lo scorso anno rappresenti una lezione per molti. Sarei molto sorpreso se molte delle organizzazioni che sono andate in piazza a Genova durante il G8 accettassero, oggi, d?andarci nelle stesse condizioni di nuovo. Vita: La guerra al terrorismo sembra risolversi in nuove barriere contro i popoli più disperati. Che ne pensa? Romano: Indubbiamente il rischio c?è. Non dobbiamo dimenticare che la globalizzazione è un processo lento, pragmatico, fatto d?accumulazioni successive. E dobbiamo soprattutto ricordare che ce ne fu un?altra, altrettanto importante: quella tra la fine dell?800 e i primi del 900. Anche allora per il mondo senza passaporti né visti, e la stessa moneta, allora la sterlina, serviva per gli scambi ovunque. Ma quella globalizzazione è finita. E finì male. Con un colpo di pistola a Sarajevo nel giugno del 1914. Ora vorremmo evitare, naturalmente, che l?attacco alle Twin towers fosse il colpo di pistola del 2001. E cioè che mettesse fine alla globalizzazione. Magari qualche no global ne sarebbe contento, invece dovremmo esserne tutti piuttosto preoccupati, perché questo processo di creazione di un mercato integrato, in cui tutti possono poi in qualche modo vendere e produrre contando su un grande pubblico di consumatori, è certamente positivo. E anche i Paesi del Sud del mondo che hanno potuto cavalcare questo fenomeno, lo hanno fatto con profitto. Però abbiamo assistito da allora a una serie di misure che vanno in senso opposto: nel senso del protezionismo, soprattutto da parte degli Usa. Vita: Frutto dell?11 settembre? Romano: In realtà l?amministrazione Bush già da prima aveva rifiutato di onorare gli accordi di Kyoto sull?ambiente. Dopo di che sono arrivati i dazi sull?acciaio, i grandi sussidi all?agricoltura. La politica statunitense ora è indubbiamente protezionista. Tuttavia questo sta accadendo in un quadro che non è quello del protezionismo classico: l?Europa ha reagito alle misure Usa sull?acciaio, e lo ha fatto con contromisure assai forti. Ma perché lo ha fatto? Per ripicca? No, piuttosto nella speranza d?indurre gli Usa a cambiare opinione. Vita: L?Europa, quindi, può avere un ruolo in una riforma che tenga presente le istanze di una parte del mondo più povero? Romano: Sì, lo credo, e anzitutto osservo che rimproveriamo sempre alla Ue di non avere una politica estera. Ed è vero, non ce l?ha ma, soprattutto, se per politica estera intendiamo quella tradizionale. Se inseriamo nella politica estera anche la politica economica e finanziaria, la Ue fa politica estera e la fa con una straordinaria energia. Non dimentichiamo che i dazi sull?acciaio sono stati introdotti dagli Usa perché Bush voleva difendere l?industria obsoleta dell?acciaio americana, soprattutto in quelle zone in cui le sue fortune elettorale sono malferme. E la Ue ha reagito imponendo dazi su prodotti alimentari americani provenienti da zone in cui le fortune elettorali dei repubblicani e di Bush sono pure malferme. In altre parole è una reazione politica molto forte, e gli Usa si stanno chiedendo se vale la pena di continuare sulla strada del protezionismo. Riccardo Bonacina © Vita / Radio 24-Il Sole 24 ore


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