Mondo

Un’oasi di pace sulla collina

Israele Premiato anche dall’Unicef il villaggio dove da 30 anni la convivenza pacifica è realtà

di Benedetta Verrini

Di questi tempi, siamo più vicini a essere un miracolo che un?esperienza educativa. È triste vedere che ciò che noi sperimentiamo come normale è lontano anni luce dalla ?normalità? vissuta nel resto del Paese». Yehezkel Schouster non si stanca di parlare di pace, anche in un momento in cui da Israele arrivano solo immagini di morte e terrore. È venuto in Italia assieme a un suo caro amico e collega, Abd El Salam Najiar, per ritirare il premio Unicef ?Dalla parte dei bambini?, che quest?anno è andato alla loro comunità, Nevé Shalom-Wahat al-Salam, la famosa ?oasi di pace? tra Gerusalemme e Tel Aviv, in cui arabi ed ebrei convivono da trent?anni.
«Un esempio di utopia possibile», si legge nella motivazione del premio Unicef. E qualcosa di utopistico c?è in questi 100 acri di terreno, dove 42 famiglie ebree e palestinesi convivono e condividono tutto, anche il sogno della pace, mentre i connazionali, nei territori circostanti, si consumano nella spirale quotidiana degli attentati suicidi e delle rappresaglie: «In questi tempi dominati dalla paura di tutti, per se stessi e soprattutto per i propri figli, noi ci sforziamo di continuare a fare quello che abbiamo fatto sempre: continuiamo a discutere, a essere in disaccordo, ma a vivere insieme», dicono Schouster, che è israeliano e Najiar, che è musulmano di stretta osservanza. «All?interno del villaggio ci sono discussioni anche dure, che possono concludersi con punti di vista distanti, però coesistono».
Vita: Questo premio arriva in un momento difficile. La vostra convivenza non ne risente?
Schouster: Certo, ma noi viviamo in mezzo al conflitto e abbiamo scelto di vivere pacificamente nel rispetto reciproco. E se volete saperlo, la nostra scuola non ha mai avuto tante iscrizioni come quest?anno, al punto che siamo stati costretti a rifiutare bambini per mancanza di aule. Attualmente abbiamo circa 290 studenti che provengono per il 90 per cento dall?esterno, da comunità sia arabe sia israeliane.
Vita:Su cosa si fonda il vostro sistema educativo?
Schouster: Abbiamo un asilo nido, una scuola materna e una scuola elementare. Il nostro sistema scolastico è l?unico che in Israele preveda un insegnamento bilingue e biculturale, dove anche i ruoli dirigenti e docenti sono equamente suddivisi tra palestinesi ed ebrei. Ovviamente, l?approccio pedagogico e l?equilibrio tra le due culture è materia di continua discussione per i docenti.
Vita: Quanto è importante il rispetto dell?uguaglianza per voi?
Najiar: È il fondamento stesso della nostra comunità: noi pensiamo che una società giusta ed egualitaria sia il nostro obiettivo comune.
Vita: Appare anche abbastanza utopistico, purtroppo.
Najiar: È difficile, ma non impossibile: questa piccola comunità è diventata un modello di comunicazione e di vita alternativa al resto del Paese. Nel 1979 abbiamo fondato una scuola per la pace: è un?istituzione indirizzata a giovani e adulti per conoscere più a fondo le dinamiche del nostro conflitto e migliorare la comprensione reciproca. Oltre 2mila persone all?anno vengono a seguire i nostri seminari.
Vita: E quali sono le dinamiche del conflitto israelo-palestinese?
Najiar: In questa lotta ciascun gruppo si attribuisce il ruolo di vittima e sottolinea esigenze diverse: gli ebrei, gruppo economicamente dominante, chiedono la fine delle ostilità. I palestinesi chiedono invece rapporti di potere egualitari e condivisione delle risorse. Allora, secondo noi, il perdono e la riconciliazione sono possibili solo attraverso un cambiamento dello status quo e l?introduzione di una politica di dialogo e uguaglianza.
Vita: Pensate che questo modello di convivenza possa avere influenza nel resto del Paese?
Schouster: La nostra forza è la struttura educativa. Al di fuori della nostra comunità, l?incontro tra arabi ed ebrei è vissuto come minaccia e pericolo reciproco. Ma i nostri bambini non sanno cosa significhi: mio figlio, che va alle elementari a Nevé Shalom, l?anno prossimo frequenterà una scuola ebrea all?esterno. L?altro giorno mi ha chiesto come mai alcuni suoi amici non potevano seguirlo, e che senso avesse tenere separati i bambini ebrei dai palestinesi. È per questa loro normalità che stiamo lavorando. E mi auguro che Nevè Shalom possa essere un ponte gettato verso il futuro.

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