Mondo

Un’idea solidale Kabul a scuola

L’italia scende in campo per far ripartire l’istruzione nel Paese distrutto. A Perugia il primo passo

di Barbara Fabiani

I bambini e gli adolescenti afghani hanno bisogno di un Paese normale, di un luogo dove la mattina ci si alza e si va a scuola. Niente come una scuola che funzioni sa dare senso di sicurezza e fiducia nel futuro. E per discutere di ciò che oggi è diventato un progetto, e non più un sogno nelle notti di 23 anni di guerra, si sono incontrati in questi giorni in Italia 25 rappresentanti afghani , tra ex esuli e chi non ha mai lasciato il Paese, con provata esperienza nel campo dell?educazione. A organizzare l?incontro, l?associazione Peacewaves, un coordinamento di 300 scuole superiori attento ai temi dell?educazione alla pace, che ha scelto come sede del meeting Perugia. A presenziare i gruppi di lavoro, Zahir Aziz già rappresentante Unesco in Afghanistan, aprendo una discussione ricca di interventi. «Malgrado la guerra l?Afghanistan non parte dall?anno zero. La costituzione afghana del 1964 garantisce il diritto allo studio a tutti, maschi e femmine, non dobbiamo sentirci senza fondamenta in questo obiettivo di ricostruire un sistema educativo. Molto in questi anni si è continuato a fare malgrado tutte le difficoltà» ha ricordato Suraya Sadeed, fuggita negli Usa quando i talebani presero il potere e che dalla Virginia ha continuato ad aiutare 1.625 bambini afghani in età scolare, la maggioranza femmine, grazie ai fondi raccolti dalla sua associazione Help the afghan children. Cosa significasse insegnare sotto i talebani, l?ha ricordato Nematullah Bezhan, giovane medico e coordinatore dello Youth and Children development program, coordinamento di forze sociali afghane che dal ?99, in accordo con il governo, cercava di sostenere la qualità dell?educazione. «Il sistema ha risentito tanto delle povertà economica quanto dei condizionamenti politico-religiosi», ha detto. «Gli insegnanti guadagnavano così poco che dovevano integrare con altri lavori, trascurando la qualità dell?insegnamento anche prima dell?avvento dei talebani. I programmi scolastici sono stati cambiati in favore degli studi religiosi eliminando le materie scientifiche. Noi educatori volontari potevano fare il nostro lavoro solo seguendo le rigide prescrizioni dei talebani o rischiavamo di essere puniti. Paradossalmente siamo riusciti a fare un po? meglio nelle campagne, dove il controllo era meno stringente, che nelle città dove ci sarebbero state le risorse umane maggiori tra gli insegnanti». E Bezhan ha anche ricordato il sacrifico di molte donne che hanno organizzato nelle loro case piccole scuole clandestine per bambine, rischiando il carcere. Queste le prime conclusioni di due giorni di lavori: occorre ridefinire i distretti scolatici; formare e aggiornare la classe insegnante coinvolgendo anche quelli che sono fuggiti all?estero; pensare a una didattica specifica per gli adolescenti oggi analfabeti, senza trascurare la scolarizzazione degli adulti, in particolare delle donne. Evidenziato anche il bisogno di programmi di cooperazione (molta speranza è stata riposta nello strumento del gemellaggio, come quello che si profila tra la città di Perugia e Mazar Sharif ), una cooperazione anche culturale vera e propria, con università e istituzioni. È piaciuta, e non solo alle donne, anche la proposta fatta da Silvia Costa di pensare in futuro a un monumento alla resistenza delle donne afghane, capaci di resistere e di continuare a insegnare alle proprie figlie a leggere e a scrivere malgrado la persecuzione. Le proposte dei gruppi di lavoro saranno presentate all?attuale ministro dell?Istruzione afghano.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA