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Ultimo tram per l’Europa

Ghilardotti, europarlamentare Ds: «Non commettiamo gli errori del passato»

di Carlotta Jesi

Centinaia di finanziamenti comunitari rispediti ogni anno al mittente, cascate di euro finite nelle tasche dei soliti noti e corsi di formazione sponsorizzati da Bruxelles creati su misura per insegnanti ed enti erogatori. Ma davvero abbiamo completamente sprecato gli oltre 10mila miliardi del Fondo sociale europeo assegnateci dal 1994? Davvero l?Italia ne ha fatto il peggior uso d?Europa guadagnandosi il titolo di pecora nera dell?Ue? A pochi mesi dall?assegnazione dei nuovi fondi con cui il nostro Paese dovrebbe combattere ogni forma di esclusione sociale dal 2000 al 2006, siamo andati a chiederlo a Fiorella Ghilardotti. L?europarlamentare Ds che a Bruxelles ha trascorso gli ultimi cinque anni occupandosi di diritti dei cittadini, ambiente e pari opportunità. Riconfermata in Europa il 13 giugno, a ?Vita? spiega come il nostro Paese si presenta all?appuntamento con l?Agenda 2000. «Con una brutta reputazione, è vero. Ma anche con alcuni ottimi risultati negli ultimi due anni: il rispetto dei parametri di Maastricht, un utilizzo dei fondi comunitari più intelligente, il grande lavoro di programmazione dei fondi strutturali in cui ci stiamo impegnando parecchio. Però adesso bisogna trovare la determinazione giusta per non giocarsi anche quest?ultima chance che l?Europa ci mette a disposizione». Perché l?ultima chance? «Perché presto i confini dell?Ue si allargheranno ai Paesi dell?Est. A intere nazioni socialmente ed economicamente meno sviluppate dell?Italia su cui, a partire dal 2006, si concentrerà la maggior parte dei programmi di sviluppo e di aiuto della Commissione. I prossimi cinque anni saranno dunque decisivi e non è il caso di ripetere gli errori del passato». Quali? «Innanzitutto l?incapacità di programmazione e di gestione della pubblica amministrazione. Che ha continuato a considerare i fondi europei come un extra. Un bel forziere di Euro che non c?era bisogno di inserire nella programmazione degli interventi italiani sul territorio, dimostrando di non aver compreso affatto la logica con cui vengono stanziati. Se i finanziamenti non sono al 100%, infatti, è proprio perché l?Europa non vuole fare solo assistenzialismo: ai Paesi membri chiede corresponsabilità. Per essere esatti quella ?quinta? parte di finanziamenti che le istituzioni italiane avrebbero dovuto prevedere fin dall?inizio. Un altro errore da evitare è lo scarso coinvolgimento di tutti i soggetti sociali nella fase di programmazione dei fondi che poi si troveranno a gestire. Ma su questo punto credo che molti passi avanti siano stati fatti invitando il Terzo settore ai tavoli di discussione sui fondi strutturali. È anche grazie all?apporto dell?associazionismo che siamo riusciti a ottenere grandi cambiamenti nell?erogazione dei finanziamenti». Per esempio? «Le sovvenzioni globali. Ossia tipologie di finanziamento ?totale? che consentiranno anche a piccoli soggetti come le associazioni non profit di ottenere i fondi europei senza bisogno di presentare garanzie fideiussore. Un tipo di approccio nuovo, di integrazione ?verticale?, che dovrebbe facilitare l?accesso ai finanziamenti di Bruxelles. I soggetti sociali infatti potranno presentare i loro progetti a degli enti territoriali, diversi dalle regioni, che li selezioneranno e provvederanno all?erogazione dei finanziamenti senza bisogno di alcuna garanzia. Uno dei tanti segnali che, finalmente, a Bruxelles si stanno elaborando vere politiche sociali e non solo programmi tampone. Prova ne sia che programmi di riconversione economica, sviluppo sostenibile, sociale ed urbano confluiscono e si integrano con nuovi obiettivi dei fondi strutturali. Per fare meglio, insomma, i presupposti ci sono».


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