Mondo
Ulrich Beck: la caporetto del neoliberismo
Intervista al sociologo che 15 anni fa battezzò la società del rischio e che ora vede il mondo davanti a un bivio
Professore di sociologia all?Università di Monaco, in Germania, nonché presso la London school of economics and sciences, Ulrich Beck è uno degli intellettuali del momento. In un saggio pubblicato su Reset, la rivista (bimestrale, ma forte di una versione online, www.caffeeuropa.it) diretta da Giancarlo Bosetti, Beck ha quasi profeticamente anticipato quanto sarebbe successo dopo i micidiali attentati alle Torri gemelle di New York. L?incertezza costa, ma c?ispira, s?intitola il saggio, scritto prima degli attentati. Beck vi affronta tanti nodi cruciali del mondo d?oggi, dalla globalizzazione, appunto, alla seconda Modernità, quella che fa della ?individualizzazione della diseguaglianza sociale? una delle caratteristiche principali delle nostre società. Viviamo, infatti, secondo Beck, in una ?società del rischio?, complessa e contraddittoria, attraversata da continui pericoli che minano l?ambiente, la salute, l?alimentazione, la tranquillità sociale, creando sempre più insicurezze. Dovremo dunque abituarci a vivere con tante insicurezze, oggi più che mai. L?11 settembre ha tragicamente confermato l?esattezza dell?analisi di Beck.
Vita: Nel suo saggio sulla società del rischio, lei spiega bene come ciò che è importante in quella che definisce ?cultura dell?incertezza? non è tanto l?esistenza del rischio in sé, quanto la percezione che di questo l?opinione pubblica viene ad avere. Come pensa che i fatti di New York abbiano cambiato la percezione del ?rischio globale? e della globalizzazione?
Ulrich Beck: Penso che questa sia cambiata enormemente. Finora abbiamo sempre pensato che gli attori in gioco nell?arena internazionale fossero gli Stati, le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non profit. Bene, ora sappiamo che accanto a questi vi sono altri attori transnazionali destinati a incidere profondamente sulla politica internazionale. Negli anni passati a livello accademico si è spesso fatta della speculazione a riguardo. Ma nessuno ha mai realmente preso sul serio tali scenari. Quanto è accaduto a New York cambia la nostra prospettiva sulla globalizzazione in modo radicale. Le categorie con cui finora abbiamo letto ciò accadeva saltano. Dicotomie come guerra e pace, attacco criminale-attacco militare, terrorismo-guerra, non hanno oggi più senso. E non ci aiutano a decifrare una realtà che si è fatta ben più complessa.
Vita: E questo comporta una crescita della ?cultura dell?incertezza??.
Beck: Certo. La percezione del ?rischio globale? è destinata a crescere in modo esponenziale. Sbagliano coloro che, riferendosi all?attacco alle Torri gemelle, parlano di una seconda Pearl Harbour. Pearl Harbour fu un attacco di uno Stato contro un altro Stato. Il nemico lì era visibile, dichiarato. Ma l?attacco a New York non è stato realizzato da uno Stato. Si è trattato piuttosto di violenza ?astatuale? che si è rivelata (ed è questa la novità rispetto al passato) nella sua forza, dimostrando che questa può essere pari a quella esercitata dalle organizzazioni statuali. Se non maggiore: un attacco nel cuore di Manhattan e contro il Pentagono, simboli per eccellenza del potere globale, sarebbero stati inconcepibili durante la Guerra fredda. Neanche l?Unione sovietica sarebbe riuscita a tanto. Tutto ciò non può che accrescere la cultura dell?incertezza. A questo riguardo mi preme anche richiamare l?attenzione su un altro aspetto importante dei fatti dell?11 settembre: a parte l?atto terroristico in sé, i terroristi hanno conseguito una doppia vittoria nel momento in cui sono riusciti creare la consapevolezza/timore di una ?minaccia terroristica globale?. Questo è destinato ad avere effetti ancora più dirompenti nella nostra vita che i singoli atti terroristici.
Vita: Lei ha scritto che a un crescita della ?cultura dell?incertezza? corrisponde una crescita del fronte dei critici della globalizzazione e di coloro che sfidano, per usare un?altra delle sue categorie analitiche, il ?sistema di irresponsabilità istituzionalizzata?. Tutto ciò trovava, senza dubbio, una conferma nella forza che il cosiddetto movimento di Seattle è sembrato acquistare negli ultimi tempi; un movimento, lo si è visto con Genova, che sembrava essere riuscito a far breccia in vasti settori dell?opinione pubblica, solo qualche anno fa impensabili. Tuttavia, dopo New York già in molti parlano di inversione di tendenza e di movimento anti global in ritirata. In altre parole, ci troveremmo di fronte a un ritorno alla ?forza delle nazioni?. È d?accordo?
Beck: No, assolutamente. Penso anzi che avverrà l?esatto contrario. L?attacco alle Torri gemelle è un esempio da manuale di politica transnazionale e, dal momento che la risposta non potrà che essere multilaterale, avrà un ruolo propulsivo decisivo nell?evoluzione di una politica transnazionale. La lezione per gli Stati uniti e per tutti noi è quanto mai chiara. Le Nazioni unite hanno riconosciuto agli Usa il diritto di difendersi, ma essi hanno ormai capito che la loro sicurezza passa per alleanze globali e non per politiche unilaterali o progetti, privi di senso in una strategia di lotta al terrorismo, come quello dello ?scudo stellare?.
Vita: Ma gli Stati uniti hanno, dalla fine della seconda Guerra mondiale in poi, sempre promosso politiche di alleanze. Basti pensare alla Nato…
Beck: Sì, certo, ma la vera differenza oggi è che le alleanze sono necessarie non solo per la sicurezza esterna, ma anche per quella interna. Siamo davvero giunti al capolinea dello Stato-nazione. I singoli Stati non sono più in grado di garantire l?ordine e la sicurezza interna ai propri cittadini. Sanno che per questo necessitano di alleanze transnazionali. Sanno che la ?nuova? guerra al terrorismo si può vincere solo attraverso una più stretta collaborazione, per esempio, fra i diversi servizi di intelligence. Ma un approccio transnazionale non riguarderà soltanto le sfere militari o di intelligence; sarà foriero di un passo in avanti verso quello che io definisco ?un sistema istituzionalizzato di cooperazione transnazionale?.
Vita: Cosa intende esattamente con questa espressione?
Beck: Negli ultimi anni in molti hanno davvero pensato che il neoliberismo sarebbe stato l?ideologia del futuro. E vi erano numerosi segnali perché si potesse davvero credere che sarebbe stato così. Tutto questo ora non ha più senso. I fatti di New York mettono il pensiero neoliberista profondamente in discussione e vanno a minarlo nelle sue fondamenta. Uno dei presupposti dell?ideologia neoliberista è che la politica possa essere rimpiazzata dall?economia e dal mercato. Tutto ciò regge fintantoché la globalizzazione può essere presentata come un processo nel complesso positivo, che è nell?interesse di tutti lasciare dispiegare ?naturalmente?. Ma l?attacco alle Torri gemelle ha messo in luce come la globalizzazione produca anche conflitti e contraddizioni. È per questo che ritengo che stia per aprirsi un nuovo ?rinascimento? per lo Stato e per la politica intesa in senso lato. Va da sé che quando parlo di Stato non intendo lo Stato-nazione. L?era dello Stato-nazione è finita per sempre. Il ritorno della politica avverrà in nuove forme; come ho detto, nella direzione di un nuovo sistema di cooperazione transnazionale.
Vita: È possibile, quindi, proprio oggi, una vittoria del movimento no global?
Beck: Non esattamente. Il sistema di cooperazione transnazionale può incamminarsi su vie diverse: quella, per me auspicabile, della costruzione della ?democrazia cosmopolita?, un modello che in parte si avvicina a quanto abbiamo cercato di fare in Europa; ma anche quella del ?Grande fratello? su scala globale. Indirizzo che oggi invece vedo, e con grande preoccupazione, prendere sempre più piede.
Intervista di Ettore Colombo e Ilaria Favretto
Chi è Ulrich Beck
Ulrich Beck è uno dei più e ascoltati sociologi del mondo. Deve il suo successo a un libro uscito nel 1986 e tradotto solo un anno fa in Italia, La società del rischio (Carocci editore, che ha pubblicato altri libri di Beck, come il recente Libertà o capitalismo). «Non viviamo ancora in una società del rischio», scriveva nel 1986. Oggi può dire che la sua profezia si sia attuata..
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