Famiglia
UK: charity e media, due mondi in collisione
Un rapporto rivela reciproche incomprensioni fra Terzo settore e media
La relazione fra charity e media? In Gran Bretagna, è regolata dalla mancanza di comprensione e rispetto reciproco.
A denunciarlo è un rapporto del Voluntary Action Media Group che, per sei mesi consecutivi, e in un momento di grande interesse per temi come le donazioni e l’aiuto in emergenza suscitati da catastrofi naturali, ha monitorato la relazione tra tv, radio, giornali e Terzo settore.
Risultato: da un lato, le grandi charity perdono buone occasioni per comunicare i loro progetti e le loro raccolte fondi, dall’altro, le piccole non profit spesso finsiscono per farsi strumentalizzare dai media.
Tra le colpe imputate alle charity dallo studio finanziato dalla National Lottery inglese c’è la mancanza di reperibilità: «Il non profit tende a lavorare con normali orari di ufficio e spesso non è raggiungibile da media con cicli lavorativi di 24 ore». Altro problema: la mancanza di contatti continui con la stampa: «Le charity pensano che, siccome la causa per cui lavorano è buona, sia sempre degna di attenzione e non coltivano contatti con i media».
Ma anche i giornalisti hanno le loro colpe: dallo studio si evince che spesso non trattano con il dovuto rispetto le charity dimenticandosi di citarle come fonte o dimenticandosi di motivare le loro dichiarazioni con gli studi che le giustificano.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.