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Ugo Mattei: «Questo Papa spariglia le carte anche sui beni comuni»

Ci troviamo oggi nelle condizioni precedenti la Pace di Vestfalia, spiega il giurista, presidente del Comitato Rodotà. C'è una «visione geopolitica della Chiesa Cattolica che ci sfida a costruire un pensiero globale, forte, spirituale e radicalmente contrapposto all'impero tecnologico e al pensiero neo liberale che abbiamo visto e subito fin qui»

di Marco Dotti

Il un passaggio particolarmente delicato della Fratelli tutti, Papa Francesco invita a «riproporre la funzione sociale della proprietà». Un tema cruciale se, leggiamo nell'Enciclica, è costituito proprio dal diritti di proprietà. Un diritto, oggi inteso in termini sempre più esclusivi.

Il diritto alla proprietà privata, però, «si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica» (Fratelli tutti, n. 120).

Abbiamo incontrato Ugo Mattei, giurista, presidente del Comitato Rodotà, a margine della prima assemblea nazionale della Rete dei Beni Comuni che si tiene oggi a Messina.

Beni comuni: a che punto siamo

Elinor Ostrom parlava della tragedia dei beni comuni. Qual è, oggi, la situazione in Italia? Siamo ancora alla tragedia o siamo passati alla farsa?
La situazione è davvero deprimente. Eppure quella di beni comuni è una categoria cruciale per dare un significato concreto alle molte chiacchiere che vengono fatte circa la necessità di invertire la rotta. Possiamo immaginare un modello di sviluppo differente da quello che ci ha portati alle catastrofi a cui regolarmente assistiamo, da quella del 2008 a quella di oggi. Attorno ai beni comuni si è sviluppata una miniera di conoscenze e analisi volutamente lasciate abbandonate da chi ha le chiavi per le decisioni istituzionali.

Ci siamo ingozzati di connessioni e abbiamo perso il gusto della fraternità. Abbiamo cercato il risultato rapido e sicuro e ci troviamo oppressi dall’impazienza e dall’ansia. Prigionieri della virtualità, abbiamo perso il gusto e il sapore della realtà. Il dolore, l’incertezza, il timore e la consapevolezza dei propri limiti che la pandemia ha suscitato, fanno risuonare l’appello a ripensare i nostri stili di vita, le nostre relazioni, l’organizzazione delle nostre società e soprattutto il senso della nostra esistenza

Francesco, Fratelli tutti

Eppure molti comuni e amministrazioni locali si stanno muovendo…
Va detto che ci sono stati una serie di regolamenti comunali taluni dei quali come quello recente di Torino, regolamenti che generano la partecipazione attiva della cittadinanza nel governo di alcune tipologie di beni. Si tratta, tipicamente, di beni abbandonati o in stato di degrado che vengono in qualche modo assegnati – sempre con molta fatica peraltro – a realtà che li riportano a nuova vita.

Però anche qui il vantaggio di una normativa nazionale è stato perso. Dodici anni fa con la Commissione Rodotà puntavamo a questo, ma il tema non è mai nemmeno stato discusso. Eppure, così la vedevamo già allora, senza un ombrello di fonte primaria per le regolamentazioni di livello secondario tutto rischia di essere vanificato.

Per quale ragione?
Per una ragione giuridica: in mancanza di un livello primario di riferimento i comuni sono deboli, perché si espongono gli amministratori che ne fanno uso a grandi rischi. La Corte dei Conti è sempre in agguato. Ci sono mille problemi, per cui anche gli amministratori locali, per quanto ambiziosi siano i regolamenti per i beni comuni finiscono per disapplicarli.

La giurisprudenza ha fatto qualche passo avanti all'inizio di questa decade: anche il Consiglio di Stato oggi utilizza i beni comuni come categoria ordinante del suo ragionamento, e quindi a livello giurisprudenziale qualche conquista, fatta a livello di dottrina giuridica sicuramente la consapevolezza è piuttosto ampia.

Quindi sul piano teorico e dottrinale è in corso un lavorio su queste cose, che produce però risultati non molto soddisfacenti perché il ceto politico è ancora lontano da una visione lungimirante sui beni comuni. Soprattutto, il ceto politico non ha nessun interesse a che la cittadinanza ne diventi protagonista attiva.

Se tutto è connesso, è difficile pensare che questo disastro mondiale non sia in rapporto con il nostro modo di porci rispetto alla realtà, pretendendo di essere padroni assoluti della propria vita e di tutto ciò che esiste. Non voglio dire che si tratta di una sorta di castigo divino. E neppure basterebbe affermare che il danno causato alla natura alla fine chiede il conto dei nostri soprusi. È la realtà stessa che geme e si ribella

Francesco, Fratelli tutti

D'altra parte i beni comuni sono aperti come una garanzia contro le privatizzazioni selvagge degli anni Novanta. Privatizzazioni che continuano anche oggi e sulle quali, d'altronde, nessun governo ha davvero voglia di cambiare verso. Per attivare il cambiamento è fondamentale, oggi, ripartire dalle realtà associative, culturali, economiche e metterle in rete. Solo attraverso un cambio di mentalità potremo far pressione affinché anche il livello delle decisioni cambi.

Ecologia del diritto e pensiero francescano

Lei ha accennato alle reti. In un suo lavoro, Ecologia del diritto, scritto con il fisico Fritjiof Capra, si insiste molto su questa dimensione… Cambiare le categorie di riferimento è fondamentale…
I beni comuni sono la declinazione pratica di questa sfida. La teoria è l'ecologia del diritto, la prassi sono i beni comuni: 'idea è la necessità di trasformare le istituzioni giuridiche in modo che si smetta con questo continue degradazioni di beni comuni in capitale e si cominci un'inversione di rotta, immaginando che il capitale sovrabbondante di cui disponiamo a livello globale possa eserre trasformato trasformato in beni comuni.

Un tema che Papa Francesco ha affrontato nella Laudato si' e nell'Enciclica Fratelli tutti…
Questo Papa spariglia le carte anche sui beni comuni. Non c'è dubbio quello che stiamo muovendo verso un punto di svolta. Molte persone si sono rese conto che una trasformazione del sistema, fuori dalle dinamiche del capitalismo predatorio è necessaria. La Chiesa romana e il magistero francescano – lo dico da laico e agnostico – in questo momento è una delle forze più serie e significative che guidano questa voglia di cambiamento. Un cambiamento che, per avvenire in profondità, come ha capito Papa Francesco, deve convertire ecologicamente tanto l'ordinamento giuridico, quanto quello politico, quanto – soprattutto – l'economia.
Esistono grandissimi punti di convergenza tra il pensiero francescano, quello del Papa e la visione dei beni comuni. Soprattutto, l'analisi geopolitica e la riflessione sulla piega assunta dalla globalizzazione ci porta a convergere verso la necessità di un nuovo universalismo e una nuova fraternità.

Il mondo avanzava implacabilmente verso un’economia che, utilizzando i progressi tecnologici, cercava di ridurre i “costi umani”, e qualcuno pretendeva di farci credere che bastava la libertà di mercato perché tutto si potesse considerare sicuro. Ma il colpo duro e inaspettato di questa pandemia fuori controllo ha obbligato per forza a pensare agli esseri umani, a tutti, più che al beneficio di alcuni

Francesco, Fratelli tutti

Il secolo XXI – leggiamo nella nuova Enciclica di Francesco, che richiama un discorso fatto alle Nazioni Unite cinque anni fa – «assiste a una perdita di potere degli Stati nazionali, soprattutto perché la dimensione economico-finanziaria, con caratteri transnazionali, tende a predominare sulla politica. In questo contesto, diventa indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate, con autorità designate in maniera imparziale mediante accordi tra i governi nazionali e dotate del potere di sanzionare»…
Gli Stati sono in disarmo, siamo davanti alla necessità di un nuovo universalismo. Ci troviamo nelle condizioni precedenti la Pace di Vestfalia: siamo tornati al grande scontro tra l'Impero e il Pontificato. Il fatto che il Papa non abbia ricevuto Mike Pompeo dimostra che c'è una visione geopolitica della Chiesa Cattolica che ci sfida a costruire un pensiero globale, forte, spirituale e radicalmente contrapposto all'impero tecnologico e al pensiero neoliberale che abbiamo visto e subito fin qui.

Questa è la vera partita. Una partita decisiva che Bergoglio sta giocando da vero fuoriclasse.

Anche in questo caso, gioca una partita sparigliando le carte e affrontando la complessità…
Ci invita ad abbandonare il peso storico di contrapposizioni fra blocchi oramai fuorvianti. Non solo tra pensiero laico e pensiero cattolico, ma anche all'interno delle critiche al nuovo capitalismo cognitivo. Capitalismo cognitivo che presenta delle sfide nuove che impongono di ripensare le nostre categorie. Il pensiero di Francesco sta diventando il trascendente del pensiero teorico dialettico e sta ponendo l'accento su libertà che sono slegate dai semplici processi materiali.

Il pensiero di Francesco ci sta spingendo verso nuove categorie. Per esempio, ci spinge a ripensare il paradigma destra-sinistra sostituendolo con quello basso vs. alto. Ci invita a non dividere tra loro coloro che sono vittimizzati dai nuovi processi sociali.

«È possibile cominciare dal basso e caso per caso», scrive Francesco, «lottare per ciò che è più concreto e locale, fino all’ultimo angolo della patria e del mondo, con la stessa cura che il viandante di Samaria ebbe per ogni piaga dell’uomo ferito».

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