Mondo
Uganda, un oratorio per ricucire le ferite della guerra
Nel campo di Palabek, che ospita quasi sessantamila rifugiati, il Covid non si è fatto sentire. Si sono avvertire, però, le conseguenze della crisi economica: il cibo è diventato un problema e le ferite dei conflitti rischiano di creare altri conflitti. La presenza salesiana, però, interviene su entrambi i problemi, partendo dall'oratorio come motore di rigenerazione del legame sociale
di Marco Dotti
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Sei anni di guerra in Sud Sudan hanno lasciato tracce nelle vite di milioni di rifugiati. Molti di loro si trovano qui, a Palabek, nel distretto ugantese di Lamwo.
Quattrocento chilometri quadrati, sessantamila persone. Il campo profughi di Palabek è tra gli insediamenti più recenti dell'Uganda: aperto nel 2016, ufficialmente per ridurre il sovraffollamento di altri campi dell’area, la sua popolazione, secondo le stime dell’Onu, è composta per l’85% da donne e bambini.
Dal 2018, ci sono anche i padri di Missioni don Bosco che hanno realizzato uno dei modelli di intervento missionario più rappresentativi per ridare futuro e speranza ai ragazzi del campo.
Hubert Twagirayezu è un confratello laico salesiano, in termini precisi un "coadiutore SDB". Lavora nella regione dei Grandi Laghi tra Uganda, Ruanda e Burundi. È lui a spiegarci cosa accade nel campo di Palabek.
Che cosa fate a Palabek?
Nel campo abbiamo la comunità salesiana, abbiamo sedici chiesette, quattro scuole e una grande scuola professionale. La domenica, i cinque preti salesiani celebrano messa: la preghiera e l'incontro con Dio sono fondamentali per la gente che vive nel campo. Abbiamo poi le attività per i giovani, tra cui l'oratorio.
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Nel campo avete elettricità?
No, per questo abbiamo un progetto per l'energia solare. E la scuola salesiana forma anche i tecnici per l'energia solare. Questi ragazzi, un domani, lavoreranno per altri progetti simili. L'Africa punta molto sull'energia solare.
I salesiani insistono sempre sull'istruzione…
Abbiamo una grande attività legata soprattutto alla scuola professionale. Partiamo da un problema: nel campo arrivano ragazzi e, soprattutto, ragazze molto giovani. La scuola professionale li aiuta offrendo una formazione di sei mesi, dopo la quale possono iniziare subito a lavorare. Imparano a fare le parrucchiere, i muratori, i meccanici, i sarti, gli agricoltori. Ma come per l'oratorio, anche nella formazione dei giovani l'obiettivo è sempre uno: rigenerare il legame sociale.
Ci sono molte organizzazioni nel campo, oltre ai salesiani?
Ce ne sono trentadue, ma tutti i funzionari tornano in città a dormire. I salesiani, invece, condividono la vita del campo. I salesiani hanno quindi costruito una comunità nel campo, dove rimangono tra la gente.
Non hanno paura del Covid?
Nel campo la vita è normale, non ci sono stati lockdown e non si vedono grandi conseguenze legate al virus. Il problema è però la fame. La prima preoccupazione delle famiglie è trovare cibo. Purtroppo molte organizzazioni, che aiutavano portando cibo ai rifugiati, si sono ritirate dal campo. Non hanno più fondi. Anche questa è una conseguenza della pandemia che si è diffusa nel mondo. Anche se qui non se ne vedono i segni in termini sanitari, le conseguenze economiche sono evidenti.
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Altre attività?
Abbiamo progetti per aiutare le famiglie, li aiutiamo in attività – specie in agricoltura – che possono dar loro un piccolo reddito. Queste persone hanno passato anni senza lavorare, a causa della guerra.
Creaimo economie di comunità, mettendo assieme le famiglie. E poi, come dicevo, c'è l'oratorio, l'istituzione salesiana per eccellenza…
L'oratorio è importante anche nel campo?
Importantissimo, perché permette ai giovani sudanesi di trovare un momento di incontro libero dalla necessità e dalla fatica. I giovani condividono tra loro momenti di gioia e, attraverso la gioia e la condivisione, si parlano, si incontrano, ricuciono legami e ferite.
Il popolo sudanese che si trova in questa zona ha vissuto momenti di grande sofferenza legati alla guerra. Nel campo, inoltre, ci sono molte etnie e questo rischia di risvegliare tensioni e conflitti. L'oratorio è uno spazio importante dove questi conflitti si sciolgono nella festa, nella condivisione e nella gratuità.
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L'oratorio è uno dei luoghi cruciali del campo stesso. I giovani hanno una forza speciale e i salesiani lo sanno, per questo hanno aperto l'oratorio. L'oratorio è una possibilità data ai giovani e alla loro forza, affinché si superino le differenze che, nell'isolamento, possono produrre rancore e odio. Quando i giovani sono insieme , invece, possono condividere il passato, ma al tempo stesso possono guardare avanti e generare speranza e futuro.
Questo accade anche nelle piccole cose, come guardare un film assieme. I giovani, allora, siedono uno accanto all'altro anche se c'è differenza tra le tribù.
Questo stare uno accanto all'altro che cos'è?
È il motore della pace.