Il ruolo dell’ufficio stampa nel Non Profit è ingrato proprio nel suo non ricevere alcuna riconoscenza o considerazione (che poi è lo stesso) da parte del destinatario del comunicato stampa (il giornalista).
Il nostro lavoro ( lo spiego anche a te, mamma, per tutti i “Boh!” sussurrati a chi ti chiede “Ma cosa fa Elena?”) è quello di portare all’attenzione dell’opinione pubblica delle notizie, molte delle quali difficilmente reperibili. Ecco perché l’ufficio stampa è di fatto un’attività giornalistica. Ecco perché mi hanno rilasciato il tesserino da giornalista e io ho quindi acquisito il diritto di poter entrare gratis nei Musei (son soddisfazioni!).
Riassumendo: i giornalisti sul campo (noi), trasferiscono informazioni vere a giornalisti su un altro campo, quello editoriale (tutti gli altri). Noi però non abbiamo un giornale, tutti gli altri sì. Questa differenza è sostanziale.
Circa l’80% delle nostre notizie finiscono nella cartella SPAM, nel cestino, insomma nel buio della Rete.
Perché?
Ve lo spiego (mamma, leggi bene per favore).
Io ho fatto anni di Ufficio Stampa e Comunicazione per shampoo lacche e antirughe. Una pacchia! Tutto facile, o abbastanza facile.
Questo è più o meno il meccanismo:
1. I laboratori trovano una formula
2. Il marketing mette la formula in una confezione, crea il “bisogno” e gli dà un prezzo
3. Il commerciale lo vende
4. L’ufficio stampa organizza pranzi, cene, viaggi e chi più ne ha più ne metta, per la “temuta” stampa
5. L’ufficio stampa organizza incontri e interviste in esclusiva con la testimonial che vale
6. Sempre l’ufficio stampa impacchetta shampoo e antirughe e li dona al giornalista
E il giornalista cosa fa? Scrive. E molte volte scrive anche senza tutto questo perché lui e il “suo” giornale sperano di riceverlo (l’ho sperimentato).
Se l’articolo non esce… beh non fatemi entrare in questo terreno minato perché non serve.
No! Non fatemelo dire, vi prego.
No! I nomi non li posso fare.
E va bene! Si narra che nelle redazioni si nasconda un tale che conta il numero delle pubblicità e quello dei redazionali. Se il numero non è “direttamente proporzionale”, il tale bussa alla porta del giornalista e gli ruba l’antirughe. Questo prima che arrivi il terribile signor Mark Eting a strappare furiosamente le pagine pubblicitarie. Ma è una leggenda (voi nel dubbio quando leggete i consigli sulle “cose da comprare” notate se non siano preceduti o seguiti da una bella paginona pubblicitaria).
Nel non profit invece
1. Il popolo, i bambini, le donne, le famiglie, i disabili lanciano un dramma e gridano il loro BISOGNO
2. Il fundraising lo vende
3. L’ufficio stampa impacchetta il dramma e lo “regala” alla stampa
E’ questo il problema!!! NOI regaliamo drammi.
Meglio l’antirughe o una bella malattia incurabile?
Meglio lo shampoo o la povertà?
Meglio l’anti cellulite o la guerra siriana?
Ci siamo capiti.
Ecco perché non c’è nessuno che conta il numero dei drammi e quello degli articoli che ne parlano. Quale impavido entrerebbe nella stanza della giornalista a prendersi l’emergenza impacchettata? Nessuno.
Ma distruggere senza creare non serve e quindi vi parlerò di soluzioni.
No! Non vi sto dicendo di regalare anti cellulite o creme da giorno per pelle secca. No.
Per vedere il vostro comunicato stampa sempre pubblicato dovreste:
1. Mandarlo a VITA (guardate il sito e comprate il giornale. Mi darete ragione)
2.Trovare uno shampoo che si carichi sul tappo il dramma. La stampa parlerà dello shampoo (ricordatevi del tale che conta) ma forse, in fondo all’articolo, scriverà una riga (spesso sbagliando il nome dell’Associazione). In parole povere partire dal Fundraising e poi beneficiare del potere economico delle aziende che il Fundraising ha trovato.
3. Organizzare un bel viaggio stampa ma ve lo sconsiglio se desiderate un servizio sulle vittime di Guerre e conflitti in Siria, in Nigeria, in Sud Sudan (alberghi e Spa non sono molto sicuri. Potete però provarci).
4. Pranzo al sacco in Associazione e tour fotografico delle emergenze mondiali (poco efficace. Non verrà nessuno).
5. Avere un testimonial e organizzare un evento molto ma molto “cool” (efficacissmo!!).
6. Pagare pagine pubblicitarie (ma il tale, che conta, non c’è).
7. Dare l’esclusiva (non serve a nulla a meno che non siate legati a shampoo e testimonial).
Conclusioni:
tanta tanta solidarietà all’ufficio stampa e a mia mamma che domani, al telefono, dirà “ma perché lo fai?”
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.