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UE-Africa: La Valletta, un summit dagli esiti incerti

Malta pronta ad ospitare 90 delegazioni e 45 leader per il vertice UE-Africa sulle migrazioni che si terrà a La Valletta dall’11 al 12 novembre. Simbolo delle tensioni che sussistono tra le parti, il Marocco e l’Egitto, rispettivamente alla guida dei processi di Rabat e di Khartoum invieranno soltanto ministri degli Esteri. Intanto Vita.it rivela le ultime bozze della Dichiarazione Finale e del Piano d’azione che verranno discusse oggi durante un ultimo round di negoziazione, per poi essere approvate dai capi di Stato e di governo durante il summit.

di Joshua Massarenti

Se negli ultimi giorni aspettavate sorprese o cambi di rotta clamorosi nei negoziati che stanno conducendo al Summit UE-Africa sulle migrazioni, rimarrete delusi. Le ultime bozze della Dichiarazione Finale e del Piano d’azione datate 6 novembre e che Vita.it rivela in esclusiva (vedi in fondo all'articolo) non sono tanto diverse dalle versioni precedenti rivelate dal nostro sito il 30 ottobre scorso. Ma non è detto che i negoziati tra europei ed africani non riservano sorprese. A Malta sono attese 90 delegazioni e 45 leader, ma solo 22 paesi europei su 28 e 23 paesi africani sui 35 presenti a La Valletta saranno infatti rappresentati da un capo di Stato o di governo. Il summit di La Valletta è stata deciso lo scorso aprile, in occasione del vertice straordinario dell’UE convocato dopo l'ennesima strage di migranti al largo di Lampedusa, con l'obiettivo di affrontare assieme ai partner africani anche le cause piu' profonde dell'immigrazione, cercando soluzioni a lungo termine con i Paesi di origine e di transito. Simbolo però delle tensioni che sussistono tra le parti, il Marocco e l’Egitto, rispettivamente alla guida dei processi di Rabat e di Khartoum invieranno soltanto ministri degli Esteri.

L’ostacolo principale riguarda la volontà dei partner africani di favorire i rimpatri volontari, mentre gli Stati Membri sono molto reticenti. Dubito che qualcosa possa cambiare nelle prossime ore

Alto funzionario dell’Unione Europea

Rimpatri e riammissioni al cuore della discordia

Intanto alla vigilia del summit, si incontreranno alti funzionari per un ultimo round di negoziazione in cui verrà discusso il principale soggetto di discordia: i rimpatrii e le riamissioni nei paesi di transito e di origine dei migranti in situazione irregolare nell’UE. Ieri, un alto funzionario del Consiglio europeo ha riconosciuto che “l’ostacolo principale riguarda la volontà dei partner africani di favorire i rimpatri volontari, mentre gli Stati Membri sono molto reticenti. Dubito che qualcosa possa cambiare nelle prossime ore”. Un’altra fonte delle Nazioni Unite contattata da Vita.it e che segue da vicino il dossier condivide questo scetticismo. “Tuttavia, può ancora succedere qualcosa. Di sicuro, su questa questione sono gli africani ad avere il coltello dalla parte del manico”.

Infatti, sulle riammissioni “Bruxelles sta premendo affinché i governi africani firmino degli accordi bilaterali con l’UE previsti dall’articolo 13 dell’accordo di Cotonou, ma se gli Stati membri europei non dimostrano flessibilità sui ritorni volontari, è difficile che sottoscrivano questi accordi con l’insieme dei 28 Stati membri”. In altre le parole, le riammissioni previste nel Piano d’azione non verrebero implementate. La vicenda non è da sottovalutare. Oggi esistono una miriade di accordi bilaterali tra uno Stato membro europeo e un altro africano. Prendiamo l’esempio della Francia e del Senegal che, a titolo immaginario, negoziano il rimpatrio di cento senegalesi in situazione irregolare presenti sul territorio francese. Oltre al rischio che questi senegalesi si spostano clandestinamente dalla Francia ad un'’altro Stato Membro dell'UE, ben altra cosa sarebbe l’impatto di un’accordo tra il Senegal e i 28 Stati Membri: in quel caso, non si parla di cento migranti irregolari, ma molti di più. Ed è questo che interessa gli Stati Membri: espellere il maggior numero di migranti che non rientrano sotto la Convenzione dell’Onu del 1951. Problema, ad oggi solo un paese africano ha firmato un accordo bilaterale con l’UE sulle riammissioni: Capo Verde.

L’agenda africana

Sul fronte opposto, i governi africani chiedono chiarimenti sulle procedure di identificazione dei migranti da rimpatriare e riammettere nei loro paesi. Dopo gli eritrei e i nigeriani, la terza comunità africana che approda nell’UE sono tutti coloro che strappano passaporti e carte d’identità prima di mettere i piedi sul suolo europeo. Prima di accettare un rimpatriato, un governo africano vuole essere sicuro che il migrante espulso dall’UE sia davvero un connazionale. Non solo. Come sottolinea il rappresentante permanente dell’Unione Africana presso l’UE, Ajay Bramdeo, “c’è bisogno di molta trasparenza e chiarezza sui criteri che verranno usati nei sistemi giuridici europei per determinare chi è un migrante economico e che rientra nella categoria dei rifugiati o dei richiedenti asilo”.

Ma Bramdeo va oltre: “All’Unione Africana noi diciamo all’Unione Europea: ‘riguardo lo status delle persone, quando i migranti approdano in Europa senza documenti e in situazione irregolare, vi chiediamo processi che rispettino il diritto internazionale. Date loro lo stesso livello di protezione che dareste ai rifugiati, finché non avete determinato il loro statuto’. Detto questo, quanti Stati Membri hanno le capacità e gli strumenti per gestire ognuno di questi casi? Non c’è un rischio che il sistema giudiziario venga intasato? Ecco perché gli Stati Membri europei stanno premendo per adottare un lasciapassare europeo. Vogliono accelerare i ritorni dei migranti irregolari”.

Nel tentativo di “rafforzare la capacità delle autorità dei paesi di origine di rispondere in tempi celeri alle domande di riammissione”, come sottolinea il Piano d’Azione, Bruxelles aveva infatti chiesto in un primo tempo ai suoi partner africani di riconoscere un lasciapassare europeo che consentisse di rimpatriare un migrante irregolare senza dare il tempo ai paesi partner di procedere alle dovute verifiche sulla nazionalità. Peggio, voci di corridoio hanno evocato la volontà dell’UE di procedere a rimpatri in paesi frontalieri a quello di origine del migrante africano espulso, qualora fosse trascorso troppo tempo durante la fase di espulsione. Già, anche perché i migranti costano. Nell’ultima bozza, viene confermato che l’identificazione dei migranti è la condizione sine qua non per organizzare i rimpatri.

Il fondo fiduciario per l'Africa è un insulto agli africani

Ajay Bramdeo, Capo della Missione Permamente dell’Unione Africana presso l’UE

Velo di scetticismo sul Fondo fiduciario UE per l’Africa

L’altra fonte di discordia riguarda il Fondo fiduciario di emergenza per l’Africa. Dotato di un budget pari 1,8 miliardi di euro da attribuire a 28 paesi africani nei prossimi cinque anni, il Fondo intende rafforzare la stabilità in Africa e affrontare alla radice le cause dei flussi migratori irregolari nel Sahel, il Lago Ciad, il Corno d’Africa e il Nord Africa.

Primo problema: la cifra è inferiore ai 3 miliardi di euro proposti alla Turchia per lottare contro l’immigrazione irregolare su un solo anno. “E’ un insulto agli africani”, sostiene Bramdeo. Per rafforzare il Fondo, la Commissione ha poi chiesto agli Stati Membri di mettere a disposizione ulteriori finanziamenti (accessibili qui). A parte l’Italia, che mette a disposizione 10 milioni di euro, dal 23 settembre ad oggi molti Stati Membri (tra cui Germania, Francia e Spagna) hanno per ora messo sul piatto 3 milioni di euro, che guarda caso coincide con il finanziamento minimo richiesto per partecipare al Board del Trust Fund for Africa, dove ad esempio verranno decisi in accordo con i paesi partner africani i progetti da finanziare. Per ora gli stessi governi africani non sembrano pronti a salire a bordo. “Un peccato”, sostiene una fonte delle Nazioni Unite. “Tre milioni di euro non sono poi così tanti per un paese come il Kenya o la Nigeria”. Secondo problema: l’uso che davvero si farà del Trust Fund. Nei corridoi dei negoziati, parecchi Stati Membri continuano a voler condizionare gli aiuti allo sviluppo, ivi incluso il Fondo fiduciario, ad uno sforzo reale dei governi africani per accogliere i migranti illegali rimpatriati dall’UE nei loro paesi di origine. Come rivela una fonte africana, “la condizionalità non è più iscritta nel Piano d’Azione, ma rimane sul tavolo delle discussioni”. Terzo problema: la società civile europea ed africana ha espresso i rischi di sotegni finanziari molto più rivolti a logiche di sicurezza anziché a quelle di sviluppo. Un timore confermato da Bramdeo, il quale riconosce che “UE e africani non sono poi così divisi sul Piano d’Azione, ma gli europei non possono ignorare in modo così palese l’agenda dello sviluppo per privilegiare la sicurezza”.

La partecipazione last minute della società civile

Chi invece ha faticato molto per partecipare ai negoziati sul Summit è stata la società civile, esclusa sin dall’inizio dai governi europei ed africani. Dopo le pressioni esercitate nelle ultime settimane, a sorpresa il 6 novembre scorso, due rappresentanti della società civile (un europeo, un africano) sono stati invitati come osservatori al vertice di La Valletta. “Siamo lieti di essere stati invitati”, ha dichiarato Edouard Rodier, Direttore del dipartimento Policy presso il Norwegian Refugee Council (NRC), co-organizzatore della mobilitazione della società civile sul summit UE-Africa, in collaborazione con l’International Catholic Migration Commission (IMCI) e della rete africana di MADE (Migration and Development). “Ma abbiamo faticato molto più di quanto pensassimo per ottenere questo invito”.

La conferenza organizzata dalle società civili europea ed africana a Bruxelles la scorsa settimana è stata un’occasione per scoprire pubblicamente quanto, per certi versi, le distanze tra l’UE e l’Africa possono essere grandi. Durante questo incontro, la platea ha assistito a un duello interessante tra Ajaya Bramdeo e Pierre Vilmont. “Quando i diritti umani diventeranno una realtà nel dialogo tra l’UE e l’Africa sulle migrazioni?”, si è chiesto il rappresentante dell’UA a Bruxelles. Dal canto suo, l’inviato speciale del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha ricordato a chi voleva ascoltarlo che “gli africani devo capire i problemi interni dell’Unione Europea”, lasciando intendere che di fronte alla crescita dei partiti estremisti europei e del razzismo in Europa, l’UE non può permettersi di dialogare soltanto sulla mobilità dei migranti o lo sviluppo dei paesi africani, ma che la sicurezza è un tema molto sensibile tra i cittadini europei.

In fondo, forse basterebbe citare una cifra che racchiude tutti i problemi tra l’UE e l’Africa sulla questione migratoria: i due miliardi di persone, in grand parte giovani, che popoleranno il continente africano nel 2050. A La Valletta, si affaccia un mare che da qui ai prossimi 35 anni rischia di inghiottire migliaia di migranti africani.

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