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Ucraina, l’Europa e il compito della pace

Per il filosofo cattolico, l'Unione deve riprendere l'iniziativa di negoziare laddove gli Stati Uniti paiono averla abbandonata. Obiettivo: tutelare Kiev impedendo, allo stesso tempo, che ci si avvii verso un nuovo scontro di civiltà

di Massimo Borghesi

Uno Stato, una nazione, un popolo può e deve difendersi con le armi allorché è invaso da un altro Stato? È ovvio che lo può. In tal caso può ricevere aiuti militari da altri Stati per la sua difesa? Anche qui la risposta non può che essere positiva. La questione non riguarda il diritto o meno di difesa, che non può essere contestato, quanto l’efficacia della sua risposta e la misura di sopportazione richiesta per la popolazione civile. Per questo la vera domanda da porre è un altra, ovvero: come si può porre fine a questa guerra? E questo non tra un mese o più ma entro breve tempo.

Ogni giorno che passa vede infatti il dilatarsi della tragedia, l’esodo biblico di un popolo, la morte di migliaia di innocenti, devastazioni a non finire. Muoiono gli ucraini e muoiono i giovani russi inviati anche loro al macello. Il problema non è il diritto della difesa da parte della coraggiosa Ucraina ma quello di arrivare al più presto al cessate il fuoco e al negoziato. E questo prima che la marea nera dell’odio non conduca a decisioni disperate.

Così l’invio delle armi da parte occidentale all’Ucraina è lecita se è proporzionata all’obiettivo, quello di portare Putin a trattare. Oltre un certo limite, come avrebbe desiderato il presidente Zelensky con la sua richiesta assurda e irragionevole della no-fly-zone, porterebbe all’apocalisse.

D’altra parte la stasi russa, provocata dalla resistenza ucraina, potrebbe portare ad una recrudescenza, ad un uso indiscriminato della forza da parte dell’invasore. Come ha detto Scott Barrier, direttore della Defense Intelligence Agency: ”La guerra sta erodendo le forze convenzionali della Russia. Mosca potrebbe ricorrere al deterrente nucleare”.

Si tratta di affermazioni incontrollate a cui solo un Putin disperato potrebbe dare seguito. Può l’Occidente permettere questo? Può spingere la martoriata Ucraina fino ad un estremo sacrificio con lo scopo di indebolire lo zar? O, al contrario, deve impegnarsi seriamente per porre fine al conflitto e portare i belligeranti, per quanto recalcitranti, a trattare? È qui che si palesa la volontà effettiva di arrivare alla pace. L’Europa è stata solerte nelle sanzioni e generosa nell’ospitalità verso i profughi, debole, però, sul piano diplomatico.

L’America lo è stata ancor di più. Il presidente Biden con la sua dichiarazione, per cui “Putin è un dittatore omicida, un delinquente allo stato puro“, cosa si ripromette?

Può dopo simili affermazioni mediare tra Russia e Ucraina? Può ancora parlare con lo zar? O ha rinunciato del tutto alla diplomazia affidandosi alla Cina e alle sorti della guerra nella speranza che, comunque vada, l’orso russo ne uscirà con le unghie spuntate? Spettatore di fronte ad un conflitto insensato, privo di ogni giustificazione accettabile, l’Occidente è al momento senza diplomazia efficace, e questo non da oggi. Con il risultato di un conflitto che poteva essere evitato.

Come ha detto l’ambasciatore Umberto Vattani al Fatto Quotidiano: “Sento parlare di una neutralità dell'Ucraina: diciamo che ci saremo arrivati per la via più difficile. Le stesse analisi degli americani, si pensi ai rilievi di Kissinger del 2014, a esperti come William Kerry ma anche George F. Kennan o William Burns, direttore della Cia, sottolineavano la particolare situazione ucraina. Non erano voci isolate“.

L’Occidente ha rinunciato alla diplomazia, ha preferito chiudere la Russia nell’angolo e non coinvolgerla. Con il risultato che lo zar si è chiuso da solo nella mura del Cremlino, in un nazionalismo politico-religioso esasperato e paranoico che somma i sogni imperiali dell’era zarista con quelli dell’era sovietica. Si torna, in tal modo, allo scontro tra Est e Ovest, al manicheismo politico degli anni della Guerra fredda. Ne ha parlato opportunamente Antonio Polito in un editoriale del Corriere della Sera (Le idee contro, 17-03-2022).

Per Polito “nata con giustificazioni geopolitiche (l'espansione della Nato) o etnico-nazionali (la sorte della minoranza russofona), la guerra all'Ucraina sta assumendo i caratteri di uno 'scontro di civiltà'. Sembra di essere tornati alla profezia del 1996 di Samuel Huntington: in un libro sostenne che la Guerra Fredda sarebbe stata sostituita da nuovi conflitti fondati sulle identità religiose e culturali. Lo scontro tra l'Islam radicale e l'Occidente ne fu una clamorosa conferma. Lo sarà anche quello in corso tra Occidente e Russia? I protagonisti stessi ne sembrano convinti. Da un lato Stati Uniti ed Europa rimproverano a Mosca di disprezzare l'etica universalistica di libertà e democrazia, e Biden accusa Putin di essere 'un dittatore omicida e criminale'. Dall'altro l'autocrate russo si appella invece all'ethos della nazione, come nella sua invettiva contro la 'quinta colonna' interna che preferisce l'Occidente alla Madre Russia“.

Se questa è la dialettica va detto che l’Europa deve muoversi, ritrovare una propria voce e indicare un’altra prospettiva, deve sottrarsi al grande gioco, dimostrare di esistere. E lo deve fare subito, coinvolgendo gli Usa, senza attendere il corso degli eventi. Kiev è lontana da Washington, non da Parigi o da Roma. Solo così può cooperare alla pace nell’ora presente.

Come scrive Polito: “A noi occidentali spetta dunque il compito di aiutare la democrazia di Kiev a resistere, ma anche di resistere per parte nostra alla tentazione dello 'scontro di civiltà'. Dobbiamo fermare l'espansionismo della Russia di sempre, per poter convivere in pace un giorno nella casa comune del continente europeo. Ma dobbiamo ricordare che dentro la tragedia della Russia di oggi c'è anche il nostro passato. E dobbiamo sperare che modernità e razionalità non siano precluse alla Russia di domani“.

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