Sostenibilità

Ucraina, Legambiente: dipendenza da gas russo ha intralciato la diplomazia

"Se gli Stati dell’Ue non fossero stati così dipendenti dalle forniture di idrocarburi da parte di Mosca, probabilmente avrebbero avuto maggiori chance di fermare l’escalation del conflitto". Lo dice il presidente della storica associazione ambientalista, Stefano Ciafani. Che invita il Governo a sburocratizzare le approvazioni degli impianti di rinnovabili e a fare come la Germania che, malgrado la guerra, accelera sulle energie pulite. E le Regioni, aggiunge, cessino con le moratorie delle nuove installazioni con la scusa di dover approvare i piani energetici

di Veronica Rossi

Che siamo di fronte a una crisi energetica è ormai chiaro a tutte le famiglie italiane, che si sono viste recapitare, nelle prime settimane del 2022, bollette rincarate anche del 94%. Questo fenomeno, già in atto da alcuni mesi, non potrà che essere aggravato dal conflitto in Ucraina. L’economia energetica del nostro Paese, infatti, si basa per il 50% sugli idrocarburi. E di questi, il 45% viene proprio dalla Russia. Quali saranno gli scenari futuri nell’utilizzo di questo carburante fossile? Ne abbiamo parlato con Stefano Ciafani, presidente di Legambiente.

Presidente, partiamo dai motivi che hanno portato a questa crisi del gas naturale. Quali sono secondo lei?

«Le cause che hanno portato le bollette energetiche a salire in maniera così importante, creando parecchi problemi sia alle famiglie che alle imprese, sono legate all’eccessiva dipendenza del nostro Paese dal gas naturale. Dopo le prime ondate di Covid-19, l’economia mondiale è ripartita e i grandi produttori di idrocarburi ne hanno approfittato, aumentando i prezzi di vendita; questo, a cascata, ha provocato un aumento vertiginoso dei costi dell’energia».

E la maggior parte del gas utilizzato nello Stivale viene dall’estero.

«L’Italia, così come l’Europa, dipende moltissimo dal gas importato dall’estero, specialmente dalla Russia, e questo innesca tutta una serie di meccanismi perversi a livello di relazioni internazionali. Se gli Stati dell’Unione non fossero stati così dipendenti dalle forniture di idrocarburi da parte di Mosca, probabilmente avrebbero avuto maggiori chance di fermare l’escalation del conflitto attraverso la diplomazia. Siamo chiaramente in un meccanismo di ricatto energetico, ma la soluzione non sta nel ricercare quel poco di gas che si può trovare nel sottosuolo italiano. Bisogna velocizzare quel processo di cui si parla molto da un anno a questa parte, con l’avvento del governo Draghi: la transizione ecologica, di cui la transizione energetica è una colonna portante».

Alcuni dicono che il gas sia un combustibile fossile più ecologico, una chiave per la transizione. È davvero così?

«Che il gas fosse una fonte di transizione lo dicevamo negli anni ’80, quando ne parlavamo come alternativa al nucleare, o anche negli anni ’90, perché era il fossile meno inquinante. Dopo gli anni ’10 del 2000, però, siamo arrivati alla completa maturità degli impianti rinnovabili, con le tecnologie più moderne dell’eolico e del fotovoltaico che si sono aggiunte a quelle tradizionali, come l’idroelettrico. Nel 2022 parlare di gas è fuori tempo massimo: come dicono gli scienziati dell’Ipcc – il panel intergovernativo sui cambiamenti climatici – dobbiamo abbandonare gradualmente ma inesorabilmente tutte le fonti energetiche fossili».

Come si sta muovendo il governo italiano per far fronte a questa situazione di crisi?

«Nelle ultime settimane il Consiglio dei ministri ha prima deciso per la ripartenza dell’estrazione del gas dai fondali marini, nei luoghi in cui le concessioni erano già attive, e poi ha varato un decreto che sancisce la possibilità di far ripartire i gruppi a carbone e a olio combustibile nelle centrali; queste due misure, però, avranno un impatto limitatissimo: estraendo tutti gli idrocarburi presenti e stimati nel sottosuolo del nostro Paese, infatti, ne otterremmo una quantità sufficiente al sostentamento energetico di 15 mesi, ai ritmi di consumo attuali. Facendo ripartire le centrali a carbone, invece, risparmieremmo circa 1 miliardo di metri cubi di gas all’anno, contro i 70 che attualmente utilizziamo».

Cosa dovrebbe fare invece?

«Quello che andrebbe fatto è quello che, paradossalmente, chiede il mondo delle imprese, attraverso la voce di Confindustria. Che, poi, è quello che gli ambientalisti domandano da tempo: la semplificazione della burocrazia per l’installazione delle rinnovabili. L’organizzazione ha invitato il governo Draghi a sbloccare 20 gigawatt all’anno per i prossimi 3 anni: questo permetterebbe di tagliare i costi in bolletta del 30%. Si tratterebbe, in più, di un cambiamento strutturale, con effetti positivi duraturi nel tempo. In questo modo si potrebbe ottenere elettricità da fonti non solo sostenibili, ma anche gratuite: questo, ovviamente, scontenta qualcuno».

In questo senso, quali scenari apre la guerra in Ucraina?

«Si tratta di un motivo in più per velocizzare la transizione. Se la Russia chiudesse i rubinetti, l’Italia e la Germania – i Paesi più importanti d’Europa in termini di industria manifatturiera – sarebbero seriamente in difficoltà. Il governo tedesco, però, sta accelerando nell’abbandono delle fonti fossili, che inizialmente era previsto per il 2040 ma che intende anticipare al 2035. Nei prossimi 13 anni, verranno varate tutta una serie di misure per moltiplicare gli impianti sostenibili. I politici italiani dovrebbero seguire questo esempio; se il conflitto in Ucraina si concluderà presto, come ci auguriamo per il bene delle popolazioni coinvolte, il problema della dipendenza del nostro Paese dalle fonti energetiche estere non si risolverà. Serve una transizione verso le rinnovabili».

La situazione attuale di crisi potrebbe causare uno stop al phase out dal carbone?

«No. Le centrali a carbone non hanno futuro. Anche questo combustibile, infatti, va importato dall’estero. Gli impianti legati a questo materiale, in più, sono solo sette e di dimensioni medio-piccole: producono appena il 5% dell’energia italiana, contro il 50% del gas e il 37% delle rinnovabili. Anche l’Enel, il principale operatore energetico italiano, non ha alcuna intenzione di investire nel carbone o nel gas, come ha dichiarato il suo amministratore delegato, Francesco Starace, in un editoriale uscito sul Corriere della Sera».

Cosa si può fare per velocizzare l’installazione delle rinnovabili?

«È necessario semplificare l’iter, accorciare i tempi per le autorizzazioni, assumere personale ai ministeri per velocizzare le pratiche. Bisogna, inoltre, che le Regioni smettano di varare moratorie di nuovi impianti rinnovabili fino a che non verranno approvati i piani energetici: l’hanno già fatto il Lazio, l’Abruzzo e la Calabria. La cosa fondamentale, infine, è coinvolgere i territori, per evitare i conflitti sociali che si formano sempre quando si deve costruire un impianto, anche il migliore possibile».

Foto in apertura di Helio Dilolwa on Unsplash

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