Guerra

Ucraina, i timori di una pace apparente

I timori di una pace solo apparente, senza garanzie certe di sicurezza, manifestati in questi giorni a Bruxelles da Volodymyr Zelensky e condivisi dall'opinione pubblica del suo Paese risultano più che legittimi. L'Ue non può e non deve sottrarsi a questo difficile compito una volta raggiunto, finalmente, il cessate-il-fuoco magari dispiegando nelle aree di conflitto anche un credibile corpo civile di pace

di Paolo Bergamaschi

C’è una ricorrenza in Ucraina, ignorata dai media italiani, che cade in questo mese riaprendo un capitolo di storia che proietta ancora una lunga e cupa ombra sugli avvenimenti odierni. Era il cinque dicembre di trent’anni fa quando a Budapest venne firmato il memorandum in base al quale l’Ucraina rinunciava al proprio arsenale atomico aderendo simultaneamente al Trattato di Non Proliferazione Nucleare in cambio di assicurazioni sulla sua sicurezza da parte delle altre potenze nucleari, Usa, Federazione Russa e Gran Bretagna in testa seguite, in un secondo momento, da Francia e Cina. 

Con lo scioglimento dell’Unione Sovietica e la successiva dichiarazione di indipendenza del 1991 il Governo di Kiev aveva ereditato circa 1800 testate atomiche. Da un giorno all’altro l’Ucraina si era trovata ad essere la terza potenza nucleare del pianeta dopo Stati Uniti e Russia. Il controllo operativo delle armi atomiche era formalmente nelle mani della Comunità degli Stati Indipendenti (Csi), l’organizzazione che aveva sostituito parzialmente l’Urss, ma gli ordigni erano stazionati sul suolo ucraino. A Kiev si aprì il dibattito su cosa fare di quella scomoda presenza. C’era chi sosteneva l’importanza di mantenere l’arsenale dove si trovava portandolo sotto il pieno controllo ucraino e chi invece spingeva per sbarazzarsene in cambio di garanzie internazionali che avrebbero consentito al Paese di spostare le scarse risorse finanziarie verso altre priorità più urgenti che gravavano sul nuovo stato, in particolare quelle economiche. 

Come altre ex repubbliche sovietiche l’Ucraina a quell’epoca era sull’orlo della bancarotta. Il crollo improvviso dell’economia di piano socialista aveva prodotto una situazione catastrofica. Ricordo i miei primi viaggi a Kiev agli inizi degli anni Novanta. Lunghe file di gente davanti ai negozi di generi alimentari dalle vetrine desolatamente vuote in attesa delle consegne occasionali di fornitori che trasportavano pochi chili per volta di pane, farina, latte e uova che si esaurivano nel giro di una decina di minuti. Erano davvero altre le preoccupazioni allora. La sicurezza non era una questione primaria e, d’altronde, chi poteva immaginare che pochi anni dopo la minaccia principale sarebbe venuta proprio dal Paese con il quale l’Ucraina condivide parte della sua storia e della sua cultura? 

Quando si parlava del Memorandum di Budapest negli anni Novanta si indicava un modello da cui partire per arrivare al disarmo nucleare globale. La strada da seguire, si diceva, è quella del dialogo, del negoziato e dei trattati internazionali non quella della deterrenza nucleare appesa ad un fragilissimo equilibrio del terrore. Mi ha fatto un certo effetto, perciò, nel febbraio del 2022, allo scoppio della crisi ucraina, vedere una fetta consistente del movimento pacifista italiano rivendicare una posizione di neutralità fra le parti rifiutando di schierarsi con quella che aveva optato per il disarmo affidando in buona fede il proprio destino alle promesse del vicino. Gli accordi che mancano di robusti meccanismi di verifica, monitoraggio e attuazione rischiano di restare lettera morta, è l’amara conclusione che non si può non tirare da tutta la vicenda. In questo senso i timori di una pace solo apparente, senza garanzie certe di sicurezza, manifestati in questi giorni a Bruxelles da Volodymyr Zelensky e condivisi dall’opinione pubblica del suo Paese risultano più che legittimi. 

L’Ue non può e non deve sottrarsi a questo difficile compito una volta raggiunto, finalmente, il cessate-il-fuoco magari dispiegando nelle aree di conflitto anche un credibile corpo civile di pace. Nel dibattito anomalo che agita l’Italia c’è chi dimentica colpevolmente che l’Ucraina, nonostante fosse un Paese, sulla carta, neutrale ospita in Crimea dal primo giorno della sua indipendenza la più importante base navale russa del mar Nero la cui concessione, in scadenza nel 2017, era stata prolungata, fra furibonde polemiche, fino al 2047 da Viktor Janukovych, il presidente poi fuggito a Mosca nel 2014 di fronte alla mobilitazione di piazza Majdan. Come sia possibile conciliare la neutralità con la presenza sul proprio territorio di 25mila soldati di una potenza straniera è un esercizio intellettuale che lascio a chi ha più fantasia  del sottoscritto. Nel frattempo speriamo che almeno a Natale cessi la follia e ritorni la ragione.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy rilascia una dichiarazione prima di un incontro con il segretario generale della NATO Mark Rutte a Bruxelles mercoledì 18 dicembre 2024. (Olivier Matthys, Pool Photo tramite AP)

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