Una volta nelle redazioni di cronaca dei quotidiani ti insegnavano che le notizie dei suicidi non andavano trattate se non in rarissimi casi, legati quasi esclusivamente alla notorietà pubblica della vittima. Non so se fosse giusto. La spiegazione era legata al rischio di imitazione che il suicidio porta con sé. Io credo che dietro questo paravento si celasse il disagio di raccontare episodi che sembrano incomprensibili, se legati esclusivamente agli ultimi casuali accadimenti della persona che decide di farla finita. Ho pensato proprio questo oggi leggendo la notizia del giovane di Imperia che a 22 anni, dopo essere risultato positivo di un soffio al test alcolemico, temendo di aver perso definitivamente la stima del padre, rientrato a casa ha rivolto una pistola contro la tempia e si è sparato.
Si legge anche che il giovane voleva diventare vigile del fuoco come il padre, e temeva che l’infrazione casualmente rilevata dai carabinieri avrebbe pregiudicato il suo arruolamento, il che non era assolutamente vero. Mi fermo qui nei dettagli perché è troppo facile, o troppo difficile, giudicare a distanza, da cronache di quotidiano, le cause e gli effetti.
Rilevo però in questi mesi una sproporzione impressionante tra la violenza, contro se stessi o contro gli altri, e le cause immediate di questi gesti. E’ come se per molte persone, fragili o comunque patologicamente predisposte, stia diventando insopportabile reggere il peso di un dolore, di un distacco, di un disagio improvviso. Forse viviamo in un mondo che non tollera l’imperfezione, l’errore, la perdita di competitività.
Non tutti si suicidano, non tutti uccidono. Ma molti di coloro che agiscono con violenza sicuramente sono persone terribilmente sole, che non hanno proprio nessuno con cui confrontarsi un minuto prima di compiere un gesto irreparabile. Nonostante il fatto che ognuno di noi è provvisto almeno di un telefono cellulare, se non di due o tre.
In un reparto ospedaliero nel quale sono ricoverate persone che si trovano improvvisamente catapultate in una nuova vita dopo una grave lesione alla spina dorsale, quasi sempre per incidente stradale, osservo da vicino le reazioni di sconforto, di rabbia, di non accettazione del verdetto clinico. Ma vedo anche un incredibile attaccamento alla vita, nonostante tutto. E penso che questo sia dovuto quasi esclusivamente alla forte rete di relazioni umane che si stringono e si realizzano attorno alla persona.
E’ la solitudine il male oscuro delle nostre generazioni. Proviamo ogni sera a telefonare a un amico fragile. Non è tempo perso.
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