In questi giorni, com’è noto, si è parlato molto di Sudafrica in riferimento alle uccisioni dei minatori. Siccome il Meeting di Rimini è per sua vocazione un’esperienza di Comunione, vorrei invitare tutti gli amici che prendono parte a questa iniziativa ecclesiale, a riflettere sul fatto che il Sudafrica, nonostante le tensioni sindacali di cui hanno parlano ampiamente i nostri giornali (a volte, forse, un po’ a sproposito), è anche la terra dell’ “Ubuntu”. Si tratta di un concetto dalla forte valenza sociale che deriva dalle lingue dei popoli Zulu e Xhosa. Se proviamo a tradurlo in Italiano, potremmo dire: “Io sono perché tu sei”, “Una persona diventa umana attraverso altre persone”, “Una persona è una persona a causa di altre persone”. Ecco perché da quelle parti si dice: “Umuntu, nigumuntu, nagamuntu”, che, nella ligua Zulu, significa: “una persona è una persona a causa di altri”, affermando così la centralità della relazione umana dal punto di vista ontologico. Per comprendere quanto sia forte questa dimensione relazionale all’interno di queste culture di ceppo bantu, vorrei condividere un aneddoto raccontato da un antropologo che ha svolto un’intensa ricerca su questo tema in Sudafrica. Un giorno, egli decise di mettere un cesto pieno di frutta vicino a un albero, dicendo poi a un gruppo di ragazzi che chi tra loro fosse arrivato prima avrebbe vinto tutti i frutti. Quando diede il segnale, tutti i bambini si presero per mano e corsero insieme, poi si misero in cerchio per godere comunitariamente il premio promesso. Successivamente, lo studioso chiese il motivo per cui avevano evitato la competizione, e tutti risposero insieme: “Ubuntu!”. Una saggezza ancestrale che tutto comprende e a cui il mondo occidentale dovrebbe guardare con rispetto.
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