Economia

Uberizzati e scontenti

Come rendere possibile, partendo dai territori, costruire e vivere “economie del mutualismo” per uscire dalla crisi che ha colpito tutto l’occidente? L’analisi di Federico Mento, ceo di Human Foundation

di Federico Mento

Quali insegnamenti possiamo trarre dagli effetti del lungo ciclo di recessione che ha stretto, in una morsa poderosa per quasi un decennio, i Paesi occidentali?

Se le crisi sembrava fossero ad appannaggio esclusivo delle economie periferiche, troppo fragili per reggere all’urto dei capitali speculativi, da Lehman Brothers in poi, abbiamo compreso che nessuno può sentirsi immune alla potenza destituente dei mercati finanziari.

Una seconda considerazione è legata all’erosione delle forme tradizionali di rappresentanza politica, oggi incalzate e talvolta scalzate, da nuovi aggregati, identificati dalle semplificazioni giornalistiche con il termine passepartout di populismo, che stanno riportando sulla scena pulsioni localistiche, prefigurando una società chiusa, ripiegata su sé stessa e sui suoi confini, in antitesi al progetto liberal-democratico della società aperta. Un terzo avvertimento è l’avvicinarsi, quasi inesorabile, della fine del lavoro, laddove meccanizzazione ed informatizzazione riducono l’apporto umano di tipo fordista alla produzione. L’approdo di questi fenomeni è difficile da prevedere, al medesimo tempo, però, risulta evidente come gli effetti economici, ambientali e sociali non trovino un’istanza, nazionale o sovranazionale, in grado di mitigarli.

L’implosione del lavoro ci restituisce un paesaggio atomizzato, irriducibile alla rappresentanza sindacale e politica, precario nelle forme di contrattazione ma soprattutto nelle identità e nelle biografie. L’operaio massa, il colletto bianco, non esistono più, sostituiti da figure fantasmagoriche, dissolte nel paesaggio policentrico del post-lavoro, gli uberizzati, scontenti, senza diritti, senza futuro previdenziale, sono le nuove figure che emergono dalla crisi.

Se la politica, prigioniera dei suoi minuetti, non sembra in grado di articolare soluzioni che rispondano alle istanze degli uberizzati, qualcosa sembra muoversi carsicamente nei territori.

Penso, ad esempio, all’esperienza di Smart, acronimo di Società Mutualistica per artisti, nata nel 1998 come associazione delle professioni dello spettacolo, costitutivamente esposte alla discontinuità lavorativa, che progressivamente si è aperta ad altre figure del capitalismo cognitivo.

Smart, nel tempo, ha costruito meccanismi di mutualità tra gli associati sempre più avanzati, come un fondo di garanzia salariale, attraverso cui si ammortizzano i ritardi dei pagamenti a favore degli associati.

Oppure Activité una struttura per amministrare le iniziative degli associati senza la necessità di creare ex novo un’associazione o una società che gestisca gli adempimenti formali. Attraverso il fondo di garanzia, Smart ha saldato le ultime prestazioni che una società in liquidazione doveva ai propri fattorini. L’esempio di Smart, a mio avviso, dimostra come il vincolo mutualistico non abbia affatto smarrito la sua forza trasformatrice, al contrario, processi si aggregazione dal basso dei lavoratori uberizzati possono rappresentare una forma originale di riposta alla dematerializzazione delle relazioni di lavoro.

Di come sia possibile, partendo dai territori, costruire e vivere queste “Economie del mutualismo” ne parleremo a Roma, alla Città dell’Altraeconomia, il prossimo 10 novembre, con Sandrino Graceffa di Smart, Luigi Corvo dell’Università Tor Vergata, Anna Vettigli di Legacoop sociali, Roberto Ciccarelli del Manifesto ed Enrico Parisio di Millepiani. (Per tutte le info clicca qui)


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