Economia

Uberizzati e contenti. Nasce in Francia un osservatorio per capire la “gig economy”

Davanti a fenomeni nuovi, che investono radicalmente l'economia e disgregano il sociale servono forze e forme altrettanto nuove di intermediazione. In Francia, un gruppo di ricercatori e startupper indipendenti si è mosso dando vita all'Observatoire sur l'uberisation. E il 18 ottobre lancia l'appello per gli "Stati Generali" dell'uberizzazione.

di Marco Dotti

Nato dal nome di una società di trasporto atipico – la Uber, azienda fondata nel 2009 a San Francisco che propone servizi di trasporto alternativi ai taxi – il neologismo "uberizzazione" è oramai entrato nell'uso comune, ma che cosa comporti sul piano economico e, soprattutto, su quello sociale è ancora poco chiaro. Anche perché, il fenomeno di cui Uber è al tempo stesso conseguenza e causa va ben al di là del settore dei trasporti cittadini.

Con uno smartphone e i servizi di geolocalizzazione integrata, tutti possono competere con tutti e, almeno per ora in linea teorica, accettare da tutti "lavori a chiamata". Tassisti, ma anche baby sitter, idraulici e persino medici. Un servizio? O una vera e propria dinamica finanziaria che rischia di travolgere e portare via con la piena, al netto delle rendite di posizione, interi settori della nostra economia?

Uberizzazione

L'uberizzazione nasce all'incrocio fra economia della condivisione e innovazione tecnologica, toccando tanto la ricerca di una maggiore competitività delle imprese quanto – e questo è il lato spesso lasciato nell'ombra – il desiderio di libertà e indipendenza di moltissimi cittadini-consumatori. Si tratta di un fenomeno che, partito da un micro segmento delle nostre economie (i trasporti), sta impattando con conseguenze davvero radicali su tutto il settore dell'offerta di beni e servizi. Talvolta, uberizzazione è usato come sinonimo di "disruption", distruzione.

Il neologismo "uberizzazione" indica almeno due fenomeni legati con il processo di progressiva finanziarizzazione dell'economia quotidiana. Da un lato, "uberizzazione" significa conversione di servizi e prestazioni lavorative continuative, tipiche dell’economia tradizionale in attività che invece vengono svolte solo su richiesta, a cottimo come si diceva un tempo. Dall'altro, indica un modello di business improntato a quella che il gergo aziendale chiama gig economy.

Gig economy

Ma che cos'è la gig economy? È un modello dove le prestazioni lavorative stabili sono azzerate e, di conseguenza, gli impiegati e i dipendenti a tempo indeterminato praticamente non esistono, poiché l'offerta di prodotti o servizi avviene solo "on demand", quando c'è richiesta.

Grazie alle nuove tecnologie, sia sul piano della fornitura di beni e servizi sia su quello del settore manifatturiero, questo modello è diventato estremamente pervasivo. Con ricadute qualitative immediate, ma non sempre quantificatificabili.

Settori uberizzati

Tra i settori oggi fortemente "uberizzati" ci sono i taxi, le librerie, gli hotel (dove oramai si sta affermando il modello-cassaforte robotizzato, senza portiere o personale: tutto automatizzato, dalla prenotazione al check-out), le banche, le professioni giuridiche e la ristorazione. Oggi, a frenare l'uberizzazione sono ostacoli – "sfide" preferiscono chiamarle i guru dell'uber for all – di natura fiscale, sindacale e territoriale. Puntelli che, dinanzi alla digitalizzazione sempre più integrale, rischiano di essere considerate – e talvolta lo sono davvero – come "inutili rivendicazioni" o "rendite di posizione" fuori dal tempo.

Guidare i processi in corso o farsi trascinare

Capire i processi è necessario per accompagnarli e rinnovare i diritti sociali e del lavoro. Ne sono convinti Grégoire Leclercq​, di professione imprenditore, e i numerosi colleghi con cui ha fondato l'Observatoire de l’ubérisation. A metà tra il centro studi e il meet-up, indipendente, composto da ricercatori sociali, startupper e da addetti di quello che un tempo si sarebbe chiamato "terziario avanzato", l'Osservatorio fa i conti con la modernità e con le spinte – digitalizzazione, valorizzazione dell'esperienza dell'utente, indipendenza" – che ad oggi sembrano indicare nell'uberizzazione un fenomeno che sul medio lungo periodo risulterà vincente.

Scopi dell'Osservatorio, spiega Leclercq, sono; praticare ricerca e innovazione sul tema del finanziamento del sistema sociale, riattivare il dialogo sociale con nuovi intermediari, studiare nuove regole fiscali per il lavoro e mettersi in campo per una proposta di riforma del diritto del lavoro.

L'uberizzazione si mescola con altri fenomeni: la disruption, ovvero la fine di interi settori lavorativi in seguito al passaggio al digitale, e la sharing economy. Fenomeni non sempre, di per sé, negativi, ma- afferma Leclerq – "proprio per questo da studiare. Siamo dentro un processo e dobbiamo capire come non affondare. Si tratta di un fenomeno complesso e dalle molte facce, dobbiamo capire questa complessità e affrontarla per quello che è, ma con urgenza".

Stati Generali dell'uberizzazione:18 ottobre

Proprio per questo, il 18 ottobre prossimo, l'Osservatorio lancia "Les Asise de l'Ubérisation", un incontro modello "Stati Generali" per "riunire economisti, decisori, imprenditori, grandi aziende, parlamentari, donne e uomini impegnati in poltiica, sindacalisti, giornalisti e far discutere sulla rivoluzione digitale, sociale e economica in corso". Alla domanda più specifica sul "cosa" si discuterà, Leclercq spiega che si discuterà di "adattamento": "come possiamo adattarci a questi mutamenti? Dobbiamo accettarli così come sono, tentare di governarli o combatterli punto e basta? Quali nuove forme di lavoro dovremmo favorire? Queli invece dovremmo preservare dall'uberizzazione? Domande per ora senza risposta che è comunque importante porsi e porsi con urgenza"

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.