Famiglia
Tutto l’amaro della vicenda del piccolo Miele
Miele è un bimbo di tre anni, abbandonato alla nascita e cresciuto da allora in un'altra famiglia. Di lui si parla da diverse settimane perché il tribunale ha disposto che entro il 28 dicembre dovrà rientrare dalla madre biologica. Una vicenda fatta di amore ma anche di ricorsi e sentenze, complicata e dolorosa per tutti. Il Governo, rispondendo a un'interrogazione urgente, ha ricostruito la vicenda, dando elementi che ci permettono di avere uno sguardo più ampio
Nessuno ha sbagliato, ma la situazione è complicatissima. E dolorosissima. Per dirla con gli americani, “Situation Normal, All Fucked Up” (in italiano diciamo “operazione riuscita, il paziente è morto”, ma l’inglese rende meglio). Non ci sarà nessuna iniziativa ispettiva del ministero della Giustizia in relazione all’operato degli uffici giudiziari coinvolti nel caso di Miele: per il governo, «tutti i provvedimenti giudiziali emessi risultano adeguatamente e diffusamente motivati e non si ravvisano violazioni di legge né travisamento dei fatti, ovvero omissione di pronunce in casi non consentiti dalla legge, sicché le valutazioni compiute dai magistrati che in entrambi i gradi di giudizio si sono interessati della vicenda non sono suscettibili di sindacato disciplinare», ha detto nei giorni scorsi in Parlamento Tullio Ferrante, sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti (sic!), incaricato dal Governo di rispondere alla interpellanza urgente presentata da Simonetta Matone (Lega) e firmata da una sessantina di deputati (anche dell’opposizione) per chiedere di avviare un’ispezione sugli uffici giudiziari coinvolti e di verificare se siano stati rispettati i diritti fondamentali del piccolo Miele.
La vicenda è nota (qui il blog aperto dagli affidatari preadottivi) e la petizione che lanciata su Change.org perché Miele resti dov’è ha già raccolto più di 39mila firme. Perché allora questo articolo, l’ennesimo? Per provare a restituire la complessità della vicenda, senza entrare nei tecnicismi ma anche senza limitarsi all’emozione.
Sta ai giudici, non ai giornali né alle emozioni delle persone, stabilire la verità dei fatti e dire se ci sono stati errori negli atti e nelle procedure: la vicenda infatti – balzata alle cronache in autunno, dopo che un decreto (il terzo) del Tribunale per i minorenni di Catania ha indicato la data del 28 dicembre 2023 per il reinserimento del minore nella sua famiglia biologica, data che cade esattamente un anno dopo il primo decreto a cui non è stato dato corso – ha un lato giudiziario lunga praticamente quanto la vita del piccolo. Un piano da cui non si può prescindere e di cui proprio la risposta del sottosegretario Ferrante ci dà diversi elementi: questo ci permette aggiunge di avere uno sguardo più articolato sulla vicenda, finora raccontata prevalentemente attraverso la verità della famiglia prima adottiva e ora affidataria.
Non si tratta qui di avere la presunzione di dire chi ha ragione e chi ha torto, ma di provare ad aggiungere altri pezzi al puzzle. Perché è naturale che ci sia un livello emotivo fortissimo di vicinanza alla famiglia affidataria ma d’altra parte c’è salda la consapevolezza che il valore del nostro sistema di tutela minori e dell’istituto dell’adozione sta proprio nella certezza del patto di diritto che presuppone che alla base di un’adozione ci sia un effettivo e reale stato di abbandono del minore. Non è un atteggiamento cerchiobottista: peraltro se non c’è alcun virgolettato in questo articolo è proprio perché le molte persone con cui abbiamo parlato hanno manifestato il medesimo spiazzamento.
La storia
Miele – questo il nome scelto dalla famiglia per raccontare la sua storia – è un bambino nato a Modica nel novembre 2020 (è facilissimo trovare online la data esatta di nascita, che qui omettiamo intenzionalmente), con un parto avvenuto in casa, non riconosciuto e abbandonato alla nascita, dichiarato adottabile e subito collocato in affidamento preadottivo in una famiglia che da allora lo ha cresciuto. Successivamente la madre biologica ha contestato la decisione e ha ottenuto la revoca dell’adottabilità. La famiglia affidataria ritiene che il riconoscimento del minore sia stato tardivo e inefficace rispetto alla dichiarazione di adottabilità e all’affidamento preadottivo già disposto, da cui secondo la legge 184 è impossibile “tornare indietro”. Sulla vicenda si è già espressa la Cassazione, con una sentenza del settembre 2022. Il Tribunale per i minorenni di Catania ha quindi disposto un riavvicinamento graduale della madre naturale al bambino, finalizzato al ricongiungimento, con tre decreti. Finora è stato impossibile attuare tali decreti (la famiglia con Miele si è trasferita in un’altra regione): fino ad oggi quindi Miele, che nel frattempo ha compiuto tre anni, non ha mai incontrato la madre biologica. Il Tribunale ha disposto che entro il 28 dicembre – a un anno dal primo decreto – il bambino dovrà ricongiungersi con la madre biologica, «anche con l’intervento della forza pubblica».
La sofferenza dei genitori affidatari è facilmente intuibile. L’attesa della madre biologica pure. Soprattutto è evidente la complessità della situazione. Oltre all’interpellanza urgente presentata da Simonetta Matone per chiedere di avviare un’ispezione sugli uffici giudiziari coinvolti e di verificare se siano stati rispettati i diritti fondamentali del minore e della sua vita familiare, ce n’è una del Pd a prima firma Marianna Madia che sollecita a costituire un osservatorio sullo stato di attuazione della disciplina dei collocamenti extra-familiari. La prima ha avuto già risposta. In aula purtroppo non sono andati né il ministro della giustizia, né il ministro dell’interno, né la ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, cui l’interpellanza era rivolta: il governo ha parlato il attraverso Tullio Ferrante, sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti (sic!), che ha fatto riferimento ad una nota estesa dal Dipartimento per le politiche della famiglia il 28 novembre 2023.
La risposta del Governo
Miele ha appena compiuto tre anni e le persone che lo hanno amato da quando aveva appena 16 giorni per lui sono indubitabilmente “mamma e papà”. Ci strappa il cuore leggere che il ricongiungimento debba avvenire «anche con l’intervento della forza pubblica», come dice l’ultimo dei tre decreti del Tribunale per i minorenni di Catania, quello dell’11 settembre 2023. Ma come siamo arrivati a questo punto? Perché non siamo dinanzi a un fulmine a ciel sereno, a una madre biologica che appare sulla scena dopo tre anni di nulla: ma per accorgersi di tutto questo occorre entrare nella vicenda giudiziaria, sentenza dopo sentenza. Ed è quello che ci permette di fare la risposta del sottosegretario Tullio Ferrante.
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La situazione di partenza è quella che conosciamo. «La madre ha nascosto la gravidanza ai suoi familiari, ha partorito il bambino nel water, esponendolo al rischio di impatto traumatico della testa contro la ceramica, rischio di annegamento, rischio di infezioni; lo consegna al compagno in un sacchetto di plastica con il cordone ombelicale non clampato e questo compagno ne simula il ritrovamento. Le Forze dell’ordine convocano il padre, che confessa, e, poi, la madre, che, a sua volta, confessa»: così dice l’interpellanza urgente di Simonetta Matone. L’uomo è stato condannato a due anni di reclusione per abbandono di minore. La donna, per questo, è ancora imputata in un processo per abbandono di minore.
D’altra parte però – ha sottolineato il sottosegretario Ferrante nella sua risposta – la Corte d’appello di Catania ha ritenuto che la procedura abbreviata per l’adottabilità aperta dal Tribunale di Catania nel 2020 risulta «carente» per tre aspetti: «sono state del tutto omesse le indagini relative ai genitori biologici»; «è stato omesso l’avvertimento dovuto al genitore biologico, nella specie concretamente individuato prima della pronuncia della sentenza impugnata»; «è mancato il giudizio afferente l’esistenza o meno dello stato di abbandono del minore, e in particolare la rigorosa valutazione relativa al diritto di quest’ultimo a crescere nell’ambito della propria famiglia, composta da madre e da due fratelli, a meno di condizioni irreversibili di incapacità della madre biologica, che non può desumersi sic et simpliciter dal pur grave comportamento tenuto al momento del parto, ma deve essere verificato attraverso una completa valutazione delle capacità genitoriali della madre nelle forme e con le garanzie del procedimento ordinario di adozione e sempre in vista del superiore interesse del minore». Per la Corte «è stato penalizzato del tutto il diritto al ripensamento che il sistema riconosce alla madre biologica rispetto alla scelta iniziale di abdicare alla maternità».
La Corte di Cassazione nel settembre 2022 ha emesso una sentenza, depositata a dicembre 2022, che definisce «totalmente incomprensibile cosa sia accaduto dinanzi a detto giudice» (del Tribunale per i minorenni di Catania, ndr) nei primissimi giorni della vicenda. Anche nell’ipotesi che non risulti l’esistenza di genitori che abbiano riconosciuto il minore, infatti, la legge «presuppone pur sempre una sia pur minimale indagine volta per l’appunto a verificare che l’esistenza di genitori “non risulti” e solo in tal caso operando la successiva revisione concernente la dichiarazione di adottabilità “senza eseguire ulteriori accertamenti”». Sempre la sentenza della Corte di Cassazione, nel riepilogare i fatti, ricorda che «la Questura di Ragusa aveva individuato la madre del minore già il 16 novembre del 2020», a pochi giorni dal parto e comunque «antecedentemente alla pronuncia della sentenza dichiarativa dello stato di adottabilità». La madre biologica – si veda sempre la risposta del sottosegretario Ferrante – ha presentato una istanza di sospensione della procedura di accertamento dello stato di adottabilità del minore già il 14 dicembre 2020, un mese e qualche giorno dopo la nascita di Miele.
La Corte d’Appello di Catania con sentenza del giugno 2021 ha quindi revocato la sentenza di adottabilità del Miele: nel giugno 2021 il bambino aveva otto mesi, non tre anni. Le cose a quel punto non avrebbero potuto prendere una piega diversa da quella che hanno preso, meno conflittuale?
Ovviamente in tutto questo c’è una consulenza tecnica di ufficio (ctu) che ha riconosciuto la capacità genitoriale della madre biologica, come ha spiegato il sottosegretario Ferrante nel rispondere all’onorevole Matone: «Va evidenziato che la madre del bambino, salvo il momento iniziale, ha costantemente manifestato (l’ultima istanza volta a sollecitare i servizi sociali è stata depositata il 26 ottobre 2023) uno spiccato interesse a ricongiungersi con il figlio e ad esercitare la sua genitorialità che, secondo i consulenti tecnici di ufficio, è integra e necessita esclusivamente di un supporto che, nel tempo, servirà a lei e al bambino per il monitoraggio della loro relazione e per superare lo stigma della vicenda», ha detto. «Tale conclusione tecnica non è stata confutata da analoghe considerazioni scientifiche, non avendo il tutore nominato consulenti tecnici di parte, pur essendo stato autorizzato». Vero è pure che la valutazione sulle competenze genitoriali della madre non è ancora conclusa – aggiunge Ferrante – dal momento che nessuno ha visto ancora la madre nel concreto della relazione con il bambino e non basta il riferimento agli altri due figli che la donna sta crescendo.
A seguito di tutto questo, quindi, il Tribunale per i minorenni di Catania ha emesso tre decreti (il primo il 28 dicembre 2022, un anno fa, l’ultimo l’11 settembre 2023) in cui ha disposto un riavvicinamento graduale della madre naturale al bambino, in vista del ricongiungimento, con un percorso di sostegno e di accompagnamento sia per il bambino, sia per la madre, sia per gli affidatari, «nella consapevolezza della delicatezza della situazione e dei vissuti emotivi di tutte le parti coinvolte».
Da un anno tali decreti che prevedono il ricongiungimento della madre con il bambino non hanno potuto essere eseguiti. Le ragioni, nelle parole del sottosegretario Ferrante: «sia per le difficoltà rappresentate dai servizi territoriali sia per la strenua, seppure umanamente comprensibile, opposizione degli affidatari».
Le domande aperte
Ci sono stati errori da parte del Tribunale per i minorenni di Catania o di altri uffici? Perché è stata fatto subito un affidamento preadottivo invece di un collocamento a rischio giuridico? Il riconoscimento da parte della madre, nel febbraio 2021, è tardivo e privo di efficacia (l’ufficiale di stato civile è stato denunciato dal tutore per aver proceduto a riconoscimento)? Tutto il ricorso della donna non sta in piedi perché il Tribunale aveva già disposto l’affido preadottivo e da quello, secondo la legge 184/1983, non si può tornare indietro e lo stato di adottabilità non può essere revocato? È il best interest di Miele toglierlo dalla famiglia in cui è cresciuto e che lo ama per consegnarlo a una donna che lo ha sì partorito ma che lo ha abbandonato e che ancora oggi per questo è sotto processo penale? È il best interest di Miele restare con una coppia che lo ama, sapendo che la madre biologica c’è, lo desidera, lo aspetta? Sono tutte domande corrette e giuste.
La risposta del sottosegretario Ferrante in sostanza aggiunge pezzi al puzzle ma non “risolve” il problema se – etimologicamente – “soluzione” è ciò in cui il problema si scioglie e scompare. La situazione, dicevamo all’inizio, è complessa, complicata e con un’alta emotività e tale resta. Anche il sapere chi ha torto o ragione davanti alla legge – per quanto sia un atto doveroso e necessario e per quanto la vicenda sia già arrivata in Cassazione e quindi abbia una sua verità processuale – non toglie dolore e fatica per nessuna delle persone coinvolte e non lo toglierà (né oggi né in futuro) a Miele. Ricordando però anche che se non avessimo prove della capacità dei bambini di resilienza e di ricominciare non faremmo affidi e adozioni di adolescenti, ma soltanto di neonati.
In questa drammatica vicenda c’è anche, probabilmente, un tema di sistema: quello di aver fallito nel gestire il grado di conflittualità tra le parti coinvolte. Oggi questo grado di conflittualità tra soggetti che hanno interessi contrapposti è oggi elevatissimo, tanto che da un anno a questa parte i decreti che prevedono il ricongiungimento della madre con il bambino non hanno potuto essere eseguiti. Tutto umanamente molto comprensibile, ma perché non si è lavorato prima, da subito, nella direzione di abbassare la conflittualità? Sempre più spesso nella tutela minori, c’è il rischio della tentazione di un ritorno ad una visione adultocentrica e ad una presunta preminenza del legame di sangue che porta a slogan come “allontanamento zero”; dall’altra parte c’è la fatica che il nostro sistema di protezione dei minori ancora fa a “tenere dentro” le famiglie di origine più fragili, per accompagnarle in un recupero della loro competenza genitoriale. Qui non si tratta di navigare tra Scilla e Cariddi, è un obiettivo preciso indicato dalla legge, per quanto difficilissimo da realizzare.
E ancora: ha davvero senso che oggi il sottosegretario Ferrante concluda il suo intervento parlando di adozione mite come innovativo istituto in caso di semiabbandono anche permanente? O è solo uno spiraglio che il governo lascia (pare) intravedere alla famiglia affidataria, come peraltro ha auspicato l’onorevole Matone nella sua replica? Questa strada poteva essere esplorata prima? O forse la strada è quella della continuità degli affetti prevista dalla legge 173/ 2015, dove qualcuno però – è stato fatto in questi anni? Sì, no, come? – dovrà accompagnare gli affidatari a ricostruire il senso, seppur doloroso, della vicenda e del loro ruolo, che nelle situazioni più estreme è anche quello di accompagnare il bambino a riunificarsi con la famiglia d’origine?
Perché comunque vada, è chiaro che serve fare un lavoro di integrazione delle due famiglie nella storia del bambino e che i diritti in gioco su cui trovare un punto di equilibrio non sono tanto quelli degli adulti ma quelli di Miele, che avrà bisogno di entrambe le parti della sua storia. Ferrante nella sua risposta dice che per salvaguardare l’interesse del minore «occorre trovare un giusto punto di equilibrio tra due diritti egualmente fondamentali: quello del minore allo sviluppo della sua identità personale, alla conoscenza delle origini e alla relazione con la madre biologica e i fratelli e quello di preservare le relazioni affettive con gli affidatari che il bambino considera come suoi unici punti di riferimento».
La conclusione allora qual è? Solo un abbraccio, per quel nulla che vale, alle due famiglie. E un incoraggiamento a tutti gli operatori dei servizi di tutela minori per fare ancora e sempre meglio.
Foto di Andrew Itaga su Unsplash
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