pubblicato su Linkiesta
I dati sull’aumento della povertà degli italiani sono noti. Ma la crisi ha colpito duramente anche gli immigrati. E non stiamo parlando dei clandestini, ma degli immigrati regolari, residenti in Italia. Un modo per capire cosa succede a questa parte importante della nostra economia, le rimesse verso l’estero degli immigrati sono un segnale congiunturale importante. Gli immigrati occupano i posti di lavoro più precari e sono i primi ad essere licenziati o “demansionati” quando le cose vanno male. E’ quindi lecito aspettarsi che durante una recessione gli immigrati in Italia riducano le somme che inviano ai loro familiari ancora residenti nei paesi di origine, in parte perché di soldi ne guadagnano meno in parte perché trattengono per sé risparmi a scopo precauzionale.
Eppure, quello che è successo negli ultimi anni è piuttosto eccezionale, a testimonianza della profondità della crisi che ha colpito l’economia italiana. La media mensile delle rimesse verso l’estero dopo aver raggiunto un picco sopra i 600 mln di euro nel 2011 è crollata nel 2013 e nel 2014 ad un livello pari a 440 mln di euro (-27%).
Fonte: http://www.bancaditalia.it/statistiche/tematiche/rapporti-estero/rimesse-immigrati/
La riduzione delle rimesse potrebbe anche essere interpretata positivamente, come il segno di una maggiore integrazione degli immigrati nel tessuto sociale e produttivo italiano. Con il passare degli anni, in parte grazie ai ricongiungimenti familiari in parte con la creazione di nuove famiglie, il centro degli affetti degli immigrati si radica sempre più sul territorio italiano. Allo stesso tempo, i risparmi iniziano ad essere investiti in attività imprenditoriali in loco, piuttosto che essere utilizzati nel paese di origine.
Il problema con questa interpretazione ottimistica dell’andamento delle rimesse sta nel fatto che il crollo è avvenuto in un arco temporale troppo breve. Inoltre, la cosa impressionante è che in questo periodo il numero di immigrati è andato aumentando (da 4,57 milioni nel 2010 a 4,92 milioni nel 2013, + 7,7%) e quindi le rimesse pro-capite sono crollate in maniera ancora maggiore (da 1.618 euro nel 2011 a 1.084 euro nel 2014).
Incrociando i dati Banca d’Italia sulle rimesse con i dati Istat sull’immigrazione è possibile calcolare il dato pro-capite, disaggregato per i paesi di origine. Nella tabella sottostante sono rappresentate le rimesse annuali, totali e suddivise per i primi 20 paesi d’origine degli immigrati residenti in Italia. Colpisce il crollo verticale delle rimesse verso la Cina: dai 2.537 milioni di euro del 2011 agli 819 milioni del 2014. Da notare che nel frattempo i cinesi residenti in Italia sono aumentati del 22,3%, riducendo le rimesse pro-capite di un impressionante -73.6%.
Se il caso della comunità cinese è eclatante, il segno “-“ lo troviamo in quasi tutte le righe, con cali percentuali procapite a doppia cifra. Unica eccezione, tra le prime 20 comunità, quella pakistana. L’entità dei cali e la loro distribuzione generalizzata tra tutte le comunità rende anche meno plausibile una spiegazione basata su forme innovative di trasferimento di denaro all’estero.
A questo punto, per capire se l’economia italiana abbia svoltato, un punto d’osservazione saranno proprio le rimesse degli immigrati. Il segno che la ripresa si è consolidata è quando i settori a maggiore intensità di lavoro (edilizia, servizi alla persona, agricoltura, …) ricominciano ad assumere.
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