Non profit

Tutti litigano sulla pelle del popolo dei senza garanzie

Riflessione sulle vicende legate all'articolo 18

di Riccardo Bonacina

Chi tra qualche anno volesse raccontare la vicenda dell?articolo 18 della primavera del 2002, dovrebbe stare molto attento a ricostruire con grande precisione tutti i passaggi, i malintesi, i tatticismi, persino i fanatismi e i secondi fini che hanno determinato uno scontro politico, oltre che sociale, di dimensioni così vaste. E comunque dovrebbe lungamente spiegare che, evidentemente, la relazione tra il merito della questione e le forze messe in campo si è molto attenuata fino a scomparire in un indistinto scontro tra opposte posizioni, quando non fazioni, politico-ideologiche.
Considerato il tono che ha assunto la manifestazione della Cgil, si fa fatica ad assumere una posizione ?terza?. In quel corteo, convocato e organizzato con la precisione e l?entusiasmo che solo le manifestazioni di parte (purtroppo anche rispetto alle altre organizzazioni sindacali) possono determinare, sono confluite istanze di solidarietà, di giustizia sociale, di rifiuto di un modello di relazioni sociali basato sul fatto compiuto e ispirato a un imprecisato senso di liberismo e di modernità; è confluita la rabbia e la preoccupazione degli extracomunitari, il dissenso degli oppositori di Berlusconi. E infine è confluita la voglia, forte e netta, di respingere il terrorismo. Riconosciuto questo, è bene non sottovalutare i tanti errori commessi che restano sul tappeto e che, in parte, avranno serie conseguenze per il futuro.
In campo sindacale vi sono state molte incertezze, molti errori nelle relazioni tra le grandi organizzazioni: qualche tatticismo eccessivo in casa Uil e Cisl, un po? di voglia di prendere comunque le distanze in casa Cgil. L?errore di Confindustria che ha chiaramente lasciato intendere che la vicenda rappresentava una sorta di cartina di tornasole dell?affidabilità del governo. Infine la politica: dichiarazioni assolutamente fuori luogo da parte di ministri che sono insieme dichiarazioni stupide e preoccupanti, nel tentativo di ?estremizzare? tutte le forme di dissenso. Ma anche da parte dell?Ulivo si è rinunciato subito a gestire la complessità del problema, dando l?impressione di una certa euforia per aver trovato una posizione comune e un po? di popolo.
Perché tanti errori? La verità, terribile, è che l?articolo18 ha a che vedere pochissimo con la grande questione che è sul tavolo della sesta potenza industriale del mondo: come governare il mercato del lavoro le cui dinamiche e le cui regole sostanziali cambiano con grande rapidità e come, dato particolare per l?Italia, gestire questo cambiamento in presenza di uno squilibrio strutturale tra Nord e Sud. Siamo sicuri che i vecchi schemi interpretativi reggono ancora? Siamo sicuri che oggi sia possibile, e utile, concepire la tutela del lavoro come la difesa e l?estensione di garanzie proprie dello schema di lavoro fordista? è tempo che si affronti la vera, grande questione del lavoro: che è quella di separare dal posto stabile e sicuro le garanzie, sacrosante, proprie dello Stato sociale, ma che devono valere per tutti, anche per quelli che il posto fisso non ce l?hanno.
La questione resta, per adesso, tutta intera: come sostituire un sistema di garanzie con un sistema, vero, di ?pari? opportunità; come costruire un sistema di copertura sociale che non sia esclusivamente e tassativamente legato al ?mio? posto di lavoro; come accelerare la riforma degli strumenti di politica attiva del lavoro; come evitare che le parti sociali (tutte) rappresentino interessi sempre meno diffusi, e perciò più resistenti, e siano costrette a esasperare il peso politico del loro ruolo. Senso della complessità e ragionevolezza non significano inerzia. Anzi, i più innovativi in queste materie sono anche i più capaci di complessità e di ragionevolezza. Infatti, vengono ammazzati. Proprio perché hanno ragione: nel merito, ma anche e, forse soprattutto, nel metodo.

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