Cultura
Tutti i palloni passano per monticiano
E' un piccolo paese sui colli senesi, con 800 abitanti adulti. Ma molti di questi sono famosi.
Oggi lo insegna Luciano Moggi. Ieri Carlo Petrini e l?altro ieri Antonio Magrini detto il Basilocco. E cioè che se cosa difficile è esser italiano, più difficile è l?esser di Monticiano.
L?ammazzarono alle otto e mezzo di sera Basilocco. L?ultimo grande brigante, appassionato ?di donne e di gioco?. Era il 15 febbraio 1904. Un confidente dei carabinieri si fece il segno della croce a San Galgano per riferire al tenente Arturo Pometti che qualcuno aveva ?intercettato? Basilocco alla Serratina, il podere del cavalier Marrucchi a Roccatederighi, vicino Roccastrada. «Circa le ore venti e mezzo Ulisse Pecorini, fratello del capoccia Gildo della Serratina, uscì a governare il bestiame lasciando intravedere Basilocco a cavalcioni di una panca prossima al tavolo della cucina. Era intento a giocare alle carte. E diceva di voler andare nella sera a una festa da ballo». Fu la sua ultima partita. Basilocco moriva a nemmeno 28 anni, «versando una grandissima quantità di sangue», da uomo di Monticiano, il monte che diciotto secoli prima i Romani avevano dedicato a Giano. Fra le sue cose si trovò un cannocchiale, tre portafogli con trecento lire, ritratti di donna. Aveva tatuato il ventre con un serto di fiori e sul braccio sinistro, sotto una figura di brigante con sopra una rivoltella, si leggevano le lettere MDCT, che poi si seppe essere Morte al Dottor Callaini Tito, uno che gli aveva fatto un torto. Era nato nel 1876 a Monticiano, provincia di Siena, dove secondo il Cnr gli abitanti avrebbero ancora oggi le caratteristiche degli etruschi perché qui c?è stato il minimo di immigrazione ed emigrazione degli ultimi 3mila anni.
Anche Carlo Petrini un giorno del 1976 compì 28 anni. E si accorse di aver già imparato tutto, ossia che «nel calcio si fa ma non si deve dire». Cresciuto a poche case da quella del Magrini, da uomo di Monticiano aveva cercato di darsi da fare. C?era riuscito bene, fra i più famosi giocatori degli anni 70, nel Milan di Rocco, alla Roma di Liedholm, al Verona, al Cesena, al Bologna. Finché nella primavera del 1980 diventò protagonista di un altro calcio, quello delle scommesse, che altri facevano meglio di lui. «Se c?è una cosa che non sopporto è l?ipocrisia», scrisse in tempi non sospetti, «mi fa schifo». E raccontò, come farebbe un qualunque uomo di Monticiano, come stavano le cose del pallone: «Un mondo dorato ma zeppo di pareggi concordati e partite vendute, di doping somministrati e trucchi per eludere i controlli, di soldi in nero e giostre sessuali».
Anche il Petrini non s?era risparmiato niente: amicizie dubbie, un crack finanziario, la fuga all?estero e lustri di paura, fino alla morte del figlio diciannovenne. Alla fine è tornato a Monticiano, solo, malato, quasi cieco, e vive non lontano dalla casa di un vetturino Moggi, padre di Luciano. Non è cambiato Monticiano. È lo stesso paese di Basilocco, caro a Giano e ai lecci della Bandita, tra i canaloni della Farma e l?Insoglio del Merse. Anche Carlo non è cambiato, e se lo incontri si volta e ti sorride, con quel risolino tipico degli uomini di Monticiano. Un riso dal fondo amaro come una sigaretta di vitalba, che ha il potere di rovesciare tutte le cose. E far sembrare i funerali matrimoni e i matrimoni funerali.
Ecco perché fino a ieri bastava l?apparizione di uno di Monticiano per trasformare ogni convention, partita o processo in tv una tragica commedia. Bastava che fra il pubblico, o al telefono da casa ci fosse uno con quell?assurdo risolino, perché tutti s?intrigassero, sbagliassero le preposizioni e attaccassero a nafantare. Ed ecco perché a quelli di Monticiano in fondo nessuno gli vuol bene.
A loro non gliene importa niente, sia chiaro, ci sono abituati e quasi se ne fanno vanto. Ma è per questo che molti quando li vedono storcono il naso. Perché sanno che, nel bene come nel male, non sono uguali a loro. Prendere o lasciare.
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