Lavoro

Tutti i dati che non abbiamo sugli stagisti, a partire dalla loro età (e molti sono over 50)

La giornata internazionale nata per la precarietà del lavoro tirocinante diventa occasione per riflettere e interrogarsi su questa figura. Anche perché a effettuare gli stage o i tirocini non sono solo giovani under 25, ma sempre più spesso persone di 50 e più anni

di Maria Marcellino

Oggi, 14 novembre, è il giorno scelto da Fair Internship Initiative per celebrare l’International Interns’ Day. Si tratta della giornata internazionale degli stagisti, istituita nel 2015 con lo scopo di denunciare la precarietà del lavoro tirocinante.

Stagista chi sei?

La domanda sorge spontanea: come dobbiamo figurarci lo stagista medio in Italia? Difficile rispondere. Verrebbe naturale farlo coincidere con una persona giovane e fresca di studi. In Italia, però, i tirocinanti hanno anche più di quaranta e cinquant’anni. Lo stagista appare quindi come una figura mitologica multiforme, di ogni genere ed età, sospesa in un continuum temporale formativo che pare durare in eterno. Se sfugge a una definizione precisa è anche perché i dati a nostra disposizione sono insufficienti.

Cominciamo con il dire che i tirocini si dividono in due categorie: curricolari, se svolti durante gli studi, ed extracurricolari, attivati al di fuori del percorso formativo.
I curriculari vengono censiti dal Rapporto biennale dell’Anvur, l’agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, con tutti i limiti del caso. L’Anvur considera solo i tirocini svolti in ambito universitario, escludendo quindi tutti i corsi professionalizzanti di altra natura, e raccoglie i dati in modo lacunoso e con grande lentezza. Basti pensare che gli ultimi dati disponibili risalgono a dieci anni fa. A tracciare una stima approssimativa ci ha provato la Repubblica degli Stagisti, la testata giornalistica che da anni si batte per i diritti dei tirocinanti, secondo cui ogni anno vengono attivati circa 400mila stage curriculari.

I tirocini extracurriculari

Per quanto riguarda i tirocini extracurriculari, invece, la situazione è più chiara. Questo perché il ministero del Lavoro e delle politiche sociali pubblica annualmente il “rapporto sulle comunicazioni obbligatorie”. Stando all’ultima pubblicazione, nel 2023 sono stati attivati poco meno di 284mila​​ tirocini. I giovani rappresentano come sempre la quota maggiore: il 50% degli stage ha coinvolto persone under 25.

La Lombardia è la regione che registra un maggior numero di attivazioni, con quasi 60mila tirocini nel 2023 (circa il 10% in meno rispetto allo scorso anno). Seguono il Lazio e poi il Piemonte. Sappiamo inoltre che la maggior parte dei tirocini, quasi l’80%, si concentra nel settore dei servizi.

Sono dati importanti, certo, però mancano delle informazioni essenziali. Innanzitutto, come segnala la Repubblica degli Stagisti, le fasce di età considerate vengono raggruppate in maglie molto larghe: “fino a 24”, “25-34”, “35 -54”, “55 e oltre”. Avere dati così vaghi rende difficile valutare l’efficacia e l’utilità di questi percorsi per categorie specifiche, soprattutto per chi li intraprende in età adulta con l’obiettivo di reinserirsi nel mercato del lavoro.
Gli adulti che svolgono tirocini cercano un’opportunità per riqualificarsi, mantenendo una continuità lavorativa e contributiva. Tuttavia, i dati mostrano che le assunzioni post-tirocinio per questa fascia d’età sono scarse rispetto alla quota di adulti coinvolti nei tirocini.

Ma dopo, quanti trovano lavoro?


Manca poi un’altra informazione fondamentale: il numero delle persone che riescono effettivamente a trovare un impiego grazie al tirocinio. Dati inediti del ministero del Lavoro, ottenuti e analizzati dalla Repubblica degli Stagisti, dimostrano una bassa efficacia occupazionale dei tirocini per gli adulti. Ciò nonostante, i numeri di chi fa uno stage in età adulta aumentano di anno in anno. Nel 2023 sono stati più di 9mila quelli attivati su persone over 55, con un incremento di circa il 6% rispetto all’anno precedente. 

Quanto dura uno stage?

Un altro dato poco chiaro riguarda la durata degli stage, che il testo delle comunicazioni obbligatorie suddivide in “fino a 30 giorni” (meno di un mese), “31- 90 giorni” (da uno a tre mesi), “91-365 giorni” (da tre mesi a un anno). Quest’ultimo intervallo è molto ampio. Uno stage di tre mesi, si capisce, è molto diverso da uno di dodici in termini di esperienza, impegno e potenziale impatto professionale, ma con una classificazione del genere le due esperienze, e i loro esiti, diventano indistinguibili.

A chiedere da anni un monitoraggio più accurato del fenomeno dei tirocini è Eleonora Voltolina, founder de La Repubblica degli Stagisti. È anche grazie al suo lavoro di denuncia se in Italia, a partire dal 2012, che per i tirocini extracurriculari è previsto un compenso mensile. «Solo partendo dai dati si possono costruire delle politiche», dice Voltolina. «Per esempio, se misurando l’esito occupazionale dei tirocini si scopre che le prospettive di impiego per gli over 50 sono bassissime, non si capisce perché lo Stato dovrebbe finanziare programmi di tirocinio per persone over 50, se poi rimangono disoccupate. Oppure, facendo delle verifiche incrociate, si potrebbe scoprire che le aziende che ospitano un numero di tirocinanti troppo grande rispetto alla loro dimensione tendono ad assumere meno delle aziende che ne accolgono di meno. Ciò significherebbe che le aziende che utilizzano i tirocinanti in modo mirato hanno maggiori possibilità di trattenerli, mentre quelle che ne ospitano un numero elevato tendono ad approfittarne, utilizzandoli come manodopera temporanea. Di conseguenza, si potrebbero introdurre politiche più restrittive sul numero di tirocinanti da accogliere, per garantire che siano davvero impiegati con un obiettivo di formazione. Quando si dispone di una buona documentazione sul fenomeno è possibile affrontarlo in modo più efficace. Al contrario, quando le informazioni sono scarse, si procede a tentoni, attuando politiche inefficaci e senza responsabilità, lasciando tutto nell’incertezza».  

Nuove linee guida sono necessarie

Il 25 settembre 2024 Voltolina ha tenuto un’audizione alla Camera dei Deputati nell’ambito dell’analisi della direttiva Ue sui tirocini, per esortare il Parlamento ad aggiornare la normativa e mettere al bando gli stage curriculari non retribuiti. L’obiettivo della direttiva europea è quello di smascherare gli stage che vengono usati dai datori di lavoro per risparmiare sui costi del personale.
Nel testo vengono indicate alcune linee guida per scovare i tirocini dietro i quali si cela un vero e proprio lavoro dipendente: l’assenza di una formazione adeguata, la durata eccessiva o i tirocini consecutivi presso lo stesso datore di lavoro, la somiglianza delle mansioni tra tirocinanti e dipendenti regolari, la richiesta di esperienza pregressa senza giustificazione, e l’alto numero di tirocini rispetto ai contratti di lavoro regolari presso la stessa azienda.

Via dall’Italia per cercare un lavoro migliore

Secondo l’ultimo report sulle migrazioni di Istat, negli ultimi dieci anni circa 566mila persone hanno lasciato definitivamente l’Italia in cerca di migliori opportunità lavorative. Come si può sperare di trattenere i giovani in Italia (l’unico Paese europeo in cui i salari reali si sono ridotti dagli anni ‘90), se alle prime esperienze lavorative ricevono il messaggio che le loro risorse verranno utilizzate fino a quando le si potrà pagare a basso costo o non pagarle affatto?

Come è possibile pensare che, a queste svilenti condizioni, riescano a progettare un futuro? Nel riformare un mercato del lavoro stagnante come quello italiano, mappare e regolamentare i tirocini sembra un buon punto da cui ripartire. 

In apertura Photo by Campaign Creators on Unsplash

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