Welfare

Tutte le fatiche dei medici penitenziari

Lettere dal carcere

di Redazione

Esercitare la professione di medico in carcere non è facile: si tratta di una sfida quotidiana intrisa di arte medica, umanità, solidarietà e coraggio. Non è facile concedere sistematicamente, avere sempre il sorriso sulle labbra, immedesimarsi nei problemi altrui, accogliere e vivere l’altrui sofferenza, vivere una comune vita contraddistinta soltanto da malattie, dolori e spesso tragedie. In carcere la malattia suscita paura e incertezza. Prevale l?angoscia di cedere il proprio controllo senza sapere di chi fidarsi. Tutto questo può essere definito come la paura dell?ignoto. Intendiamo la medicina penitenziaria non come un?arte della guarigione e difatti è impossibile guarire un uomo privato della sua libertà e della sua fantasia, rinchiuso a chiave giorno e notte nella sua cella. Esiste un problema grave in carcere. Bisogna avere il coraggio di parlarne e di saperne parlare. Non si può assolutamente accettare però che se ne voglia parlare in negativo, distorcendo la verità. È quello che ha fatto Cristina Giudici in termini demagogici e superficiali rispondendo su ?Vita? a una lettera di un detenuto. Non entro nel merito della lettera-denuncia perché non conosco la vicenda anche se mi sento di rilevare una palese strumentalizzazione finalizzata all?acquisizione di un beneficio di legge. Ciò che è inaccettabile è che una giornalista attenta e coraggiosa come lei abbia reso affermazioni offensive nei confronti della professionalità e la reputazione dei medici penitenziari con accuse lesive della loro dignità personale e professionale. I giudizi espressi evidenziano la più completa ignoranza sull?organizzazione dei servizi sanitari penitenziari, mentre l?argomento trattato avrebbe suggerito maggiore prudenza e verifica delle circostanze. Pur con tutti i suoi margini di miglioramento, la medicina penitenziaria italiana rappresenta un modello apprezzato e studiato nel mondo per l?alta qualificazione dei suoi operatori e l?incisiva operatività dei servizi come è stato riconosciuto dalla Commissione europea per la prevenzione della tortura. 1. La medicina penitenziaria non è una truffa, ma un?importante branca della medicina che con molta dignità e scarsissime risorse espleta una funzione delicatissima a tutela della salute. 2. I medici penitenziari sono fermamente contrari alla riforma che prevede il passaggio delle Usl perché è una riforma contro i medici penitenziari o peggio contro il diritto alla salute dei detenuti in quanto è a costo zero e quindi non è possibile prevedere un miglioramento. 3. Lo specialista ortopedico che ha sottoposto a intervento di artroscopia il ginocchio del signor Fontana presso il carcere di Messina è un medico convenzionato della clinica ortopedica dell?università di Messina. 4. Assurda l?affermazione che i medici penitenziari siano degli studenti di medicina . Mi sento dire che i medici penitenziari sono degli specialisti della patologia dell?emarginazione. Sono piuttosto dei professionisti selezionati nel tempo i quali portano avanti un servizio nobile ed estremamente rischioso con un sovraccarico notevole di responsabilità. 5. Per quanto riguarda la procedura di acquisto dei farmaci è totalmente rigorosa. Prevede controlli da parte del Dap, il provveditorato regionale, i carabinieri e i Nas. Perciò è impossibile solo immaginare le malignità descritte nell’articolo. La gravità e la superficialità con cui vengono formulate le accuse contenute nel suo articolo avrebbero forse imposto una serrata discussione in un?aula di tribunale con la richiesta di un forte risarcimento dei danni subiti dai medici penitenziari. Non lo facciamo nella consapevolezza che si tratti di un grosso infortunio di una giornalista alla quale riconosciamo un forte impegno sociale. Francesco Ceraudo, Presidente Ass. Naz. Medici Penitenziari Comprendo i motivi della sua rabbia. Sorvolo sulla lettera del detenuto-malato su cui lei nutre, mi sembra, dei dubbi. Forse, come scrive lei, il signor Fontana voleva solo uscire dal carcere e perciò rifiutava di farsi operare al ginocchio in un centro clinico penitenziario, ma non voglio entrare nel merito. Porgo le mie scuse se le mie poche righe hanno dato l?impressione di offendere l?intera categoria dei medici penitenziari, facendo riferimento a un episodio specifico di corruzione a me rivelato da una fonte che per ovvi motivi non posso rivelare. Forse avrei dovuto essere più prudente e considerare come la categoria dei medici penitenziari sia assediata da problemi e difficoltà. Avrei dovuto verificare, fare un?inchiesta e pensarci su altre tre volte. Ma fermo restando che di lettere come quella firmata dal signor Fontana ne ricevo quasi una alla settimana, le faccio una proposta. Perché non mi aiuta a separare il loglio dal grano e a difendere chi come dice lei compie ogni giorno un lavoro difficile, rischioso e carico di responsabilità da chi invece ha violato i già ridotti (se non inesistenti) diritti dei detenuti? So che lei è coraggioso e lo farà.


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