Non profit

Tutte le bufale dei fan del gambling

L’analisi di Vittorio Pelligra, economista dell’Università di Cagliari, che sul numero del magazine in distribuzione confuta in quattro punti tutti gli argomenti a favore dell’azzardo

di Vittorio Pelligra

Ma perché tutto questo accanimento contro il gioco d’azzardo? In fondo è legale e regolamentato. Del resto fin tanto che ci sarà qualcuno che vorrà giocare i suoi soldi nell’azzardo, sarà inevitabile trovare qualcun altro disposto a vendergli questa esperienza, legalmente o, al limite, anche illegalmente.

Tanto vale quindi legalizzare il settore, almeno così si sottraggono i giocatori ai tentacoli delle mafie. E poi stiamo parlando di persone adulte, maggiorenni, libere, in grado di fare le loro scelte, giuste o sbagliate che siano, e nessun dovrebbe dire loro, paternalisticamente, cosa fare. Si tratta poi di un settore economicamente strategico: ha registrato solo nell’ultimo anno un +9% nella raccolta di giocate, pari a 95 miliardi di euro, una cifra record, alla faccia della crisi.


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E che dire, poi, delle decine di migliaia di addetti che ci lavorano. Alle loro famiglie chi ci pensa? Lo Stato dal canto suo ci guadagna pure, con le tasse. Certo, si sa anche che qualcuno perde la testa e inizia a giocare troppo forte, per questo infatti, una parte dei proventi del gioco, i concessionari sono obbligati ad utilizzarli per progetti di prevenzione e cura delle ludopatie. “Gioca responsabile” è il messaggio.

Fila tutto liscio, insomma; questo discorso non fa una piega, basato com’è su quattro solidi pilastri: i giocatori sono soddisfatti, le imprese creano occupazione, la malavita organizzata vede ridotto il suo giro d’affari e lo Stato guadagna dalle entrate fiscali. Bello no?! Se fosse vero. In realtà nessuno di questi argomenti, con cui invariabilmente si è giustificata e protetta negli anni, la politica di sviluppo del settore dell’azzardo, è fattualmente vero.

Primo: i giocatori sono soddisfatti. Provate a chiederlo a loro, però, quanto l’azzardo li renda più felici. Spendono moltissimo, spesso in maniera incontrollata e più di quanto potrebbero; non perché lo vogliano, ma perché non ne possono fare a meno. Come spiega bene Natasha Dow Schull, nel suo Architetture dell’azzardo (Luca Sossella Edizioni), i dispositivi di gioco sono progettati utilizzando le più avanzate conoscenze della psicologia comportamentista e delle neuroscienze, per creare dipendenza, o per usare l’efficace espressione di un giocatore da lei intervistato, “persone ratto”. George Akerlof e Robert Shiller, entrambi premi Nobel per l’economia, utilizzano nel loro recente Ci prendono per fessi. L’economia della manipolazione e dell’inganno (Mondadori), l’espressione “la scimmia sulla spalla” per indicare quegli
impulsi che i consumatori sono indotti a
soddisfare, ma che vanno contro i loro interessi. «I liberi mercati non si limitano a offrire in abbondanza ciò che la gente chiede – scrivono i due Nobel – ma creano
anche un equilibrio economico idoneo a
mettere le imprese in condizione di mani-
polare o distorcere la nostra facoltà di giudizio con pratiche commerciali paragonabili alle cellule cancerose che si insinuano
nel normale equilibrio del corpo umano.
La slot machine ne è un chiaro esempio».

Secondo: le imprese del settore creano occupazione. È vero, si stimano 140mila addetti. In realtà, però, quelli
impiegati direttamente sono solo 30mila;
qualche altra decina di migliaia sono impiegati nell’indotto, e la stragrande maggioranza, invece, sono rappresentati da coloro che dedicano “quota parte” del loro lavoro alle attività connesse al gambling; il barista che ti vende il gratta e vinci e il tabaccaio che raccoglie la giocata del lotto per esempio.

Ascrivere al settore dell’azzardo l’esistenza dei baristi e dei tabaccai appare, quindi, francamente una forzatura. Una stima corretta dovrebbe, inoltre, tener conto anche dei cosiddetti “costi opportunità”.

Dovremmo chiederci, cioè, quanto avrebbero fruttato i soldi spesi nelle macchinette, se li avessimo utilizzati diversa- mente? La Consulta nazionale delle fondazioni e associazioni antiusura, si è posta il problema, è ha calcolato che il settore dell’azzardo in realtà, complessivamente non ha creato posti di lavoro, ma, drenando dall’economia reale circa 20 miliardi di euro negli ultimi anni, ha impedito la creazione di di 115mila nuovi posti di lavoro, 90mila nel commercio e servizi e circa 25mila nell’industria. Il saldo, in termini occupazionali, non sembrerebbe particolarmente positivo.

Terzo: la malavita organizzata vede ridotto il suo giro d’affari. Se l’azzardo viene legalizzato lo si sottrae al controllo delle mafie. Questo ritornello si è sentito per anni, quasi ad ammantare di altruismo, l’azione di multinazionali e dei loro lobbisti. In realtà ciò che è successo è che è cresciuto sia l’azzardo legale sia quello illegale…


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