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Tutsi, è l’ora della vendetta

Faide, stragi: il Paese è dominato dalla legge del taglione e non c’è scampo per i vinti. Sono migliaia i detenuti condannati a morte, compresi centinaia di ragazzi. Il ministro Jean Pierre Biziman

di Redazione

In Ruanda la guerra è finita, eppure nelle strade si continua a sparare e a uccidere. Sono le vendette a insanguinare ancora oggi il Paese più martoriato dell?Africa, dove la vittoria dei tutsi sugli hutu ha lasciato dietro di sé un milione di morti (altre 200 mila le vittime delle faide in Burundi) e ancora continua a produrne con le esecuzioni a cielo aperto. Ignorando tutti gli appelli internazionali alla clemenza e alla riconciliazione, tra cui quello del Papa. Niente da fare: la legge del taglione è più forte, e così sabato 25 aprile si sono svolte le prime 22 esecuzioni pubbliche, per punire i ?registi? del genocidio. Nella vicina Tanzania è stato istituito un Tribunale Onu sul modello di quello dell?Aja per la ex Jugoslavia, con il compito di individuare e punire i colpevoli; il governo ruandese però non accetta che esso non preveda la possibilità di condannare a morte. E così preferisce fare da sé. Con il rischio di innescare una spirale di ulteriore terrore e vendette private. Intanto nelle disumane carceri del Ruanda sono ammassati migliaia di detenuti imputati dei peggiori crimini contro l?umanità, compresi anche centinaia di minorenni accusati di aver partecipato alle stragi. Per loro il governo promette di non arrivare alla pena di morte, ma nulla è più sicuro in un Paese assetato di vendetta. Ci sarà mai riconciliazione per il Ruanda? Qualcuno è pronto a scommettere che il Paese potrà dimenticare i suoi fantasmi c?è. Jean-Pierre Biziman è l?attuale ministro dell?Educazione, a soli 34 anni è il membro più giovane del governo. Lui, a salvare dalla rabbia e dalla sete di rivalsa un?intera generazione di bambini traumatizzati dalla guerra, ci prova davvero. Più di 300 mila piccoli in età scolare sono rimasti orfani dal 1994 a oggi, il sistema scolastico del Paese è sventrato, molti insegnanti sono stati uccisi o hanno preferito emigrare. Anche Biziman ha rischiato grosso. Nel precedente governo era capo dipartimento del ministero della Pubblica istruzione. Ma essendo hutu gli fu chiesto di entrare a far parte delle milizie oltranziste che per tre mesi, nel ?94, perpetrò il genocidio dei tutsi. Biziman rifiutò e si nascose in un ospedale: quando il Fronte patriottico dei tutsi prese il potere, nel luglio del 1994, decise di non lasciare il Paese. Entrambe le decisioni misero la sua vita a repentaglio, e oggi Biziman gira scortato da un drappello armato. Eppure resta convinto che quello che ha insaguinato il Ruanda non è stato un terrore etnico. «La filosofia del genocidio fu inventata durante il periodo coloniale per dividere il nostro popolo», spiega oggi il giovane ministro. «Gli hutu e i tutsi sono un?unica gente, con la stessa lingua, le stesse tradizioni. La causa delle divisioni in Ruanda non è etnica, ma politica ed economica». La vera imputata del genocidio, secondo Biziman, è la politica fondata sulle divisioni tribali. «Questo tipo di visione, tipicamente africana, ci condurrà verso altri massacri. Privando il nostro continente della sua risorsa più preziosa: la gente». Biziman è convinto che per scongiurare ulteriori stragi i ruandesi debbano guardare avanti, alla promessa di un?economia globale, e indietro, verso i valori più autentici della loro tradizione. «Dobbiamo trarre ispirazione dei valori positivi della nostra storia», dice. «Ma senza limitarci a utilizzarli come slogan propagandistici. Dobbiamo viverli in prima persona e trasmetterli ai nostri figli. Solo così costruiremo il nuovo Ruanda». ?


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