Famiglia

Tuo figlio è Down? Lo amerai di più

A Gaeta un giovane padre decide,a costo di separarsi dalla moglie,di tenersi la bambina nata con la trisomia 21.

di Monica Papagni

Questo è un dialogo immaginario tra una mamma, Monica, e un papà, il giovane di Gaeta la cui moglie ha deciso di abbandonare la loro bambina appena nata una volta scoperto che aveva la sindrome di Down. Un caso di cui si sono occupati tutti i giornali, soprattutto quando si è saputo che questo padre ha deciso di tenere con sé la figlia. Affrontando per questo la separazione dalla moglie. Monica Papagni, l?autrice di questa storia, è una delle responsabili dell?associazione persone Down di Gaeta. Ha seguito fin dall?inizio il caso di questa bimba, che abbiamo chiamato Chiara, rifiutata dalla madre. Lei, ha adottato un bimbo Down, Riccardo. E ora prova ad accompagnare a questo padre coraggioso ma fragile verso un futuro possibile con sua figlia.

E su Raiuno si festeggia per l’aborto di un Down

«Come criticare quei genitori che alla nascita fanno fatica ad accettare la notizia che il loro figlio è Down, se educhiamo la gente a considerare un bambino Down una ?cosa? da buttare con sollievo?». Questa la domanda che si è posta l?Associazione italiana persone Down dopo aver visto su Raiuno la penultima puntata della serie tv ?Una donna per amico?, con Elisabetta Gardini nei panni di una ginecologa. Nell?episodio in onda la settimana scorsa, due donne incinte facevano l?amniocentesi (un esame che accerta eventuali handicap del feto), e in un caso viene diagnosticata la sindrome di Down. Alla madre i medici, senza perdere tempo a spiegare di che cosa si tratta, consigliano subito di interrompere la gravidanza; nel frattempo però il feto dell?altra donna muore e si ipotizza un errore del medico che ha effettuato l?esame, ma alla fine ?per fortuna? si scopre che sono stati scambiati i referti e il bimbo morto era proprio quello Down. Grande sollievo di tutti, sigla e pubblicità. «È raccapricciante il modo con cui questo film considera la vita di una persona handicappata» osserva l?associazione. «A tal punto che l?errore medico scompare e che una morte viene festeggiata. Si è così mancato di rispetto alle 49 mila persone Down che vivono nel nostro Paese una vita comunque degna di essere vissuta». I responsabili della serie televisiva hanno parlato di un ?equivoco?, senza scusarsi per l?accaduto.
Chi volesse sostenere la posizione dell?Associazione persone Down e sapere di più sulla sindrome di Down può telefonare al servizio ?Telefono D? di Roma, numero 06/3720891.

PADRE: La nascita di mia figlia Chiara è stata per me un momento terribile, non sapevo se essere felice della sua nascita o rattristarmi senza sentirmi in colpa di ciò! La paura per la sua diversità, per il suo incerto futuro, la sensazione di non essere capace neanche di procreare una creatura sana, l?impossibilità di vedere avanti a lei un futuro sereno, tutto ciò per qualche tempo ha offuscato e soffocato l?amore per la mia bambina, per quella creatura così tanto attesa e sognata e che era dinanzi a me così diversa da tutte le altre, eppure ciò nonostante mi portava comunque il miracolo della vita, di una vita che era pur sempre parte di me e di mia moglie.
MONICA: La nascita di un bambino normodotato è sempre circondata di gioia, di complimenti: «Come è bella!», «A chi assomiglia?», «Sarà un ingegnere come il suo papà», «Sarà intelligente come la sua mamma!». Oggi è nato un bambino con la sindrome di Down. Immediatamente intorno ai genitori si fa il gelo più completo, so persino di ospedali che trasferiscono queste neo mamme in stanze singole per non rattristare le altre mamme, per lasciarle con il loro dolore. Che ipocriti. I medici poi ancora oggi che sono lì a dirti: non si preoccupi, questi bambini sono tutti buoni e affettuosi, non danno alcun fastidio. Ma scherziamo? Sono esseri umani o una razza a parte!
PADRE: Ma noi genitori già smarriti, addolorati per tutte le speranze e i sogni svaniti, siamo circondati dal gelo più profondo della gente che ci circonda, dai parenti che piangono. Ed ecco il muro che a poco a poco si erge, ed è lì, che lo senti, che ti aleggia intorno e ti fa rabbrividire. E ti vengono alla mente mille domande: mio figlio handicappato, così bruttino, sarà ritardato? E quanto sarà grave questo ritardo?
MONICA: Lo so, e tutto ciò è amplificato al cento per cento se si è neogenitori, persone che ancora non conoscono le gioie e la responsabilità di essere padri e madri. Ed ecco che nasce la voglia di non essere là, di non dover affrontare tutto ciò. E poi il ?miracolo? al punto giusto: i sanitari informano della possibilità di non riconoscere il bambino. Siamo uomini e per la maggior parte di noi la tentazione di fuggire dai problemi è più forte della voglia di affrontarli. La scelta è senza dubbio facile e comoda per tutti, tranne che per il bambino che all?improvviso resta solo ad aspettare un ricongiungimento che non avverrà più. Mi sono sempre chiesta se la madre di Chiara abbia veramente dimenticato questo suo bambino, ho cercato sempre di non giudicarla, di cercare di comprendere il suo dolore che deve averla offuscata in quel momento, di toccare la sua paura di affrontare lo sguardo degli altri sul suo bambino, i loro silenzi, i loro bisbigli. Forse se ognuno di noi davanti a questi eventi invece di ergersi a giudice o di ignorare il problema offrisse a questi genitori dubbiosi uno spazio fatto di amore, di comprensione, ma anche di gioia, di speranza; se le strutture assistessero con la dovuta competenza questa famiglia, tanti di questi bambini non avrebbero bisogno di avere una seconda occasione.
PADRE: Come è accaduto che una famiglia come la vostra, già con figli, abbia deciso di adottarne un altro e per di più con la sindrome di Down?
MONICA: La nostra concezione del significato dell?adozione è quanto mai distorta: si pensa di dare un figlio a una famiglia che non può averne di propri e non di dare una famiglia a un bambino che ne ha bisogno. Credo che il significato più profondo dell?adozione debba essere l?accoglienza, intesa come l?atto di accogliere vero e proprio, come un amore che si dona senza attendere nulla, si dona perché vuole donare, perché la ricompensa è insita nell?atto in sé. In quest?ottica la scelta conseguente è la mancanza di distinzione tra sesso, età, condizione sociale o fisica, solo nella misura di una scala di valore che tiene conto delle necessità del bimbo di essere adottato e non della famiglia nel soddisfare le sue aspettative negate. Quanto potenziale di amore sprecato hanno le nostre famiglie, che già soppesano ogni giorno la ?fatica? di crescere i propri figli, figurarsi poi quelli degli altri, rifiutati persino dai propri genitori! Fortuna che comunque ci sono le eccezioni, che recentemente non sono poi così rare e che fanno sperare per il futuro di tutti quei bambini che hanno bisogno di un?altra possibilità. Riccardo, mio figlio, è entrato nella nostra famiglia sommessamente, senza un sorriso, con lo sguardo che gli ho visto la prima volta che mio marito l?ha preso in braccio: una testolina che si perdeva in quelle spalle, che se ne stava lì smarrito eppure così profondamente avvinghiato a quel corpo per lui estraneo. Ecco, questa è la prima cosa che ricordo di Riccardo, quello sguardo e quel faccino nemmeno tanto bello, quel corpicino flaccido e la bocca che non era (a più di cinque mesi!) capace di un sorriso. Perché noi abbiamo fatto questa scelta non lo saprei dire, i motivi furono tra i più disparati, ma l?esperienza di vita con mio figlio ci ha cambiato tutti molto. Ha aperto la nostra disponibilità di famiglia che accoglie, e credimi, il nostro letto degli ospiti resta chiuso sempre per poco tempo. Il nostro amore e quello dei suoi fratelli ha cambiato Riccardo; tutte le persone che gli sono intorno, nella scuola, nella famiglia, nell?attività sportiva sono contagiate dal suo entusiasmo di vivere, dalla sua gioia; certo un bel passo avanti da quello sguardo smarrito dell?ospedale. Oggi Riccardo ha quasi cinque anni e ha qualche difficoltà nel linguaggio, ma non ci importa molto. Quasi certamente domani parlerà in maniera più sciolta; forse sarà un operaio, un archivista, oppure resterà il nostro Riccardo, ma ciò non è importante perché quello che lui ci ha dato e ci dà ogni giorno rende ogni momento speciale, non ci interessa di ipotecare il futuro: ogni giorno è quello che è, e per questo è unico e prezioso.
PADRE: Non ti spaventano le difficoltà che incontrerai ogni giorno nel cammino dell?integrazione del tuo bambino nel mondo che lo circonda, del giudizio, del confronto con gli altri?
MONICA: La diversità non è bene accetta nella nostra società, abbiamo bisogno di identificarci con gli altri per sentirci al sicuro, nel giusto, nella cosiddetta ?normalità?, nel gruppo. Ed ecco che mettiamo delle barriere tra noi e chi è diverso, isoliamo colui in cui non ci riconosciamo, che ci destabilizza, che ci dà una visione diversa della nostra realtà, mettendoci in discussione. Ma le barriere dell?integrazione vanno cercate prima dentro di noi, riconoscere ed abbattere questi muri che abbiamo dentro è il primo e più difficile passo. Ricordo un genitore di una bambino con sindrome di Down che a un convegno dopo essersi lamentato per le difficoltà incontrate nell?inserimento scolastico di suo figlio chiese al relatore se poteva dare un fratello al bambino o se ciò avrebbe potuto fargli del male (temeva il confronto tra i due). Perché quella domanda: l?avrebbe fatta se suo figlio non avesse avuto la sindrome di Down? Il pregiudizio è prima dentro di noi, e se noi genitori di bambini con handicap non riusciamo a superarlo, come possiamo pretendere dagli altri un comportamento diverso?
PADRE: Come si deve comportare il genitore di un bambino con sindrome di Down nella vita di tutti i giorni, nel dargli gli insegnamenti che ogni genitore trasmette ai propri figli?
MONICA: Non esiste una formula per essere un buon genitore né tantomeno un manuale che lo insegni. Mio figlio Riccardo ha la sua personalità che lo differenzia da tutti gli altri bambini, siano portatori di handicap o no. Ci sono dei metodi che ogni genitore un po? accorto usa a seconda dell?indole del proprio figlio, non facendo differenza tra sesso o handicap, ma trovando la strada giusta per arrivare al suo cuore. Accettando i limiti di questi bambini senza chiuderceli dentro, spronandoli affinché si possano misurare con obiettivi diversi è una ricetta che ho imparato con l?esperienza e che trovo valida per tutti i miei figli. Questo non vuol dire che si può essere genitori perfetti. Tu però affronta il mondo con la felicità che tua figlia ti potrà dare, perché lei è speciale e ti darà molto più di quello che riuscirai a darle tu. Ciao!

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