Mondo
Tunisi, il giorno dopo
Ecco come si è svegliata la città dopo la manifestazione dei 70mila e la chiusura del Social Forum
di Giada Frana
Sabato la chiusura del Social Forum, domenica la marcia dei 70mila, con i grandi del mondo fra cui Hollande, Abu Mazen e il nostro Renzi.
Il giorno dopo varcando il cancello d`ingresso del campus universitario El Manar di Tunisi, si percepisce subito nell`aria un clima di solidarietà senza confini. Qui non importa da che Paese si viene, quale religione si pratica, quale partito politico si segue: i confini e la barriere tra i popoli cadono, lasciando spazio alla gioia di conoscersi, di interagire con partecipanti provenienti da ogni parte del mondo, facendo rete con un unico obiettivo: la speranza di un mondo migliore possibile. Fino a ieri l’interno del campus era constellato di stand e di bancarelle di ogni sorta: dalle associazioni che cercano di far conoscere il proprio lavoro, alle bancarelle di artigianato. Le persone si spostavano da una facoltà all`altra per non perdersi i numerosi e interessanti dibattiti. «È la terza volta che partecipo a un Forum Sociale mondiale – riferisce Caroline mentre sta preparando le ultime cose prima del rientro in Francia-, sono stata a quello di Dakar, a quello di Tunisi nel 2013 e quest`anno ci sono ritornata. Mi interessa molto il tema dell`Islam e della partecipazione della donna nella democrazia. Ho preso parte a dibattiti sull`immigrazione, sull`evoluzione della primavera araba e su temi economici. L`atmosfera del Forum è stata molto bella, ben organizzato. Certamente nonostante l`attentato al Bardo la partecipazione è stata numerosa e ciò mostra che queste persone sono decise a sostenere la Tunisia». Nicola Teresi fa parte di Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie in Italia: «Abbiamo partecipato anche nel 2013 – racconta -, quest`anno abbiamo proposto due seminari: uno sulle mafie e la tratta degli esseri umani e uno sulla corruzione. L`atmosfera è stata segnata da ciò che è successo poco prima del Forum: i tunisini desideravano una risposta forte da parte del Forum e della società civile mondiale di vicinanza. Si percepisce molto questa voglia di resistere alla paura e al terrorismo tramite lo stare insieme, la vicinanza, l`allegria e tramite processi democratici e non processi di centralizzazione del potere. Anche due anni fa c`era una bella atmosfera, poco dopo la rivoluzione, si respirava il voler dare centralità alla società civile tunisina, maghrebina. La partecipazione è davvero molto numerosa: alla marcia di apertura di martedì, nonostante la pioggia torrenziale, hanno preso parte tantissime persone. Si è respirata un`aria di totale di solidarietà, di voglia di costruire qualcosa insieme in un periodo davvero difficile e complicato. Il messaggio che posso dare come Libera a chi per gli ultimi fatti ha paura a venire in Tunisia sono le parole di Paolo Borsellino: "chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola".
Sabri Islam, 24 anni, è di Kairouan, ma vive e studia a Sousse: «È la prima volta che partecipo al Forum – riferisce la studentessa: è disorganizzato, soprattutto per quanto riguarda gli alloggi delle persone che vengono da altre città. Per contro ci sono degli atelier molto interessanti ed è bello poter conoscere altre organizzazioni da tutto il mondo. La nostra partecipazione è stata un messaggio ai terroristi, per dire loro che siamo qui per vivere, per amare la vita, per resistere contro ogni forma di terrorismo». Nasfat Khofash viene dalla Palestina ed è qui con il PNIN, l`instituto palestinese nazionale per le ong, per portare avanti la causa palestinese: « Siamo venuti qui per parlare della nostra situazione, dell`occupazione della nostra terra da parte di Israele, sperando di trovare supporto da parte di altre associazioni per far sì che il popolo palestinese possa riprendere la sua libertà ed i suoi diritti. Per quanto riguarda l`atmosfera, mi sembra che tutto stia andando bene e c`è davvero molta solidarietà. Oltre ai vari volontari che aiutano nell'organizzazione, questo forum ci sta dando la possibilità di coordinarci con organizzazioni di altri Paesi, scambiare le esperienze ed opinioni».
Come quella di Jlassi Moemen, dell’associazione Octt, Organizzazione contro la tortura in Tunisia, responsabile del progetto riguardante la giustizia transizionale, che intercettiamo poco prima del rientro alla base.
Da quando è presente la vostra associazione?
Dal 2003: lavoriamo contro il crimine della tortura già da prima che scoppiasse la rivoluzione, dapprima in modo illegale, senza essere riconosciuti dallo stato, poi dal 2011 siamo legalmente un’associazione, con un vero e proprio locale da cui lavorare e continuare a occuparci dei casi. Spesso lavoriamo in partenariato con l’associazione Avvocati senza frontiere, con l’Organizzazione mondiale contro la tortura e la Lega dei diritti dell’uomo.
Come operate sul territorio?
Riceviamo segnalazioni dei casi di tortura, un caso o più al giorno, da tutto il territorio tunisino. Ci chiamano o ci contattano per e-mail o via fax. Si tratta di casi che avvengono in prigione o nei locali della guardia nazionale o della polizia. Noi cerchiamo di tenere costantemente monitorato ciò che succede in questi luoghi e aiutiamo le vittime a sporgere denuncia davanti alla giustizia contro i responsabili della loro tortura. Inoltre forniamo un aiuto psicologico, grazie a un contratto stipulato con degli psicologi e abbiamo a nostra disposizione un team di avvocati. Possiamo anche inviare direttamente una segnalazione al Ministero dell’Interno o al Ministero della Giustizia, per renderli partecipi di ciò che succede. Organizziamo anche dei seminari, cerchiamo di partecipare ad ogni incontro sui diritti dell’uomo.
Chi sono le vittime di queste torture?
Durante la dittatura, non erano solo gli oppositori politici o gli attivisti ad esserne vittime, o persone di cui l’unica colpa era avere un parente scomodo al regime. Anche chi commetteva un crimine, come un furto, veniva torturato per estorcergli una confessione.
Cosa è cambiato dopo la rivoluzione?
Prima della rivoluzione la tortura era una politica praticata direttamente dallo stato, diretta dallo stesso potere; ora invece i casi di tortura sono perpetrati da agenti di polizia, della guardia nazionale o polizia carceraria che continuano ad utilizzare gli stessi metodi di prima, non si sono allineati con la nuova situazione dei diritti dell’uomo e sui cambiamenti della legge in Tunisia. E’ compito nostro restare vigili per vedere cosa succede. Ogni mese presentiamo un rapporto dettagliato sui casi che succedono: lo scorso mese erano una trentina. Ad ogni modo, rispetto al 2011/2012 la situazione è migliorata considerevolmente: le autorità partecipano attivamente e cercano di cambiare lo stato delle cose. Se c’è un problema, oggi segue un intervento. Il problema che permane è dato dagli agenti di polizia che non hanno accettato il cambiamento che c’è stato e continuano, come ho detto, ad utilizzare gli stessi metodi da stato di polizia. Per questo motivo tra le nostre richieste all’amministrazione c’è anche quella di fare formazione a questi agenti, per poter migliorare le loro competenze e far sì che rispettino le procedure del codice penale e i diritti dell’uomo.
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