Famiglia

TUMORE. Scoperta una molecola legata alle metastasi al seno

La ricerca dell'Istituto dei Tumori di Milano con il gruppo del professor Balsari della Statale di Milano è stata finanziata dall'Airc

di Redazione

In Italia si stima che sopravvengano circa 40mila nuovi casi di tumore della mammella l’anno. Un certo numero di queste pazienti, anche se sottoposte a chemioterapia post-operatoria, svilupperanno metastasi tumorali. Analizzando il tessuto neoplastico ottenuto da pazienti operate di tumore al seno, è stata individuata una nuova molecola associata alla probabilità di sviluppare metastasi.
La scoperta, è frutto della collaborazione tra l’Unità Operativa Bersagli Molecolari della Fondazione Irccs: Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, diretta da Elda Tagliabue, e il gruppo di ricerca diretto da Andrea Balsari, docente di Immunologia all’Università Statale di Milano.

I risultati dello studio, che ha avuto un finanziamento dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC), sono stati recentemente pubblicati dal prestigioso Journal of Clinical Oncology.
L’analisi del tessuto neoplastico ottenuto da più di 300 pazienti sottoposte a intervento chirurgico ha evidenziato come la presenza della molecola  FOXP3 nelle cellule tumorali mammarie si associa significativamente con il rischio di sviluppare metastasi a distanza, quindi con una condizione di maggiore aggressività clinica.
In particolare, si è osservato che in quelle pazienti che al momento dell’intervento chirurgico non presentavano cellule maligne a livello linfonodale, la presenza di FOXP3 nelle cellule del tumore primario correlava con un peggioramento della prognosi, mentre nelle pazienti con coinvolgimento linfonodale, l’assenza di FOXP3 nelle cellule tumorali risultatava correlare con una prognosi più favorevole.

«Gli sforzi dei due gruppi di ricerca – sostiene il professor Andrea Balsari – sono ora rivolti all’individuazione del meccanismo biologico attraverso il quale la molecola  FOXP3 spinge le cellule del tumore della mammella a diffondersi in altri organi».
«Con le conoscenze acquisite dai risultati di questa ricerca – sottolinea la dottoressa Elda Tagliabue – sarà possibile intraprendere nuovi studi sia per determinare la possibilità di utilizzare FOXP3 per individuare i tumori più aggressivi contro i quali indirizzare terapie adiuvanti, sia per  disegnare nuove molecole in grado di contrastare l’azione di FOXP3».


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